Singapore diventa una base navale Usa

-Fonte Peacereporter
Un altro tassello nella strategia di accerchiamento della Cina

Non esistono solo le rivoluzioni colorate nel nuovo modello di governance globale messo a punto dagli Usa. La buona, vecchia, deterrenza armi in pugno va sempre di moda. È in questo senso che vanno lette le più recenti mosse statunitensi in Estremo Oriente.
Due su tutte: l’annuncio che la Us Navy sbarcherà a Singapore; un nuovo accordo per la fornitura di dieci Boeing C-17 da trasporto tattico all’India.

Nella ridefinizione delle alleanze asiatiche, Washington risponde così all’avvicinamento tra Cina e Pakistan costruendo il proprio “filo di perle” da contrapporre a quello cinese.
Robert Gates ha annunciato nel suo ultimo viaggio in Asia da segretario alla Difesa statunitense (lascerà a carica il 30 giugno) che il Pentagono ha compiuto molti passi avanti “per assumere una posizione difensiva meglio distribuita geograficamente, più determinata dal punto di vista operativo e sostenibile politicamente nell’area dell’Asia e del Pacifico”. Il ministro della Difesa di Singapore ha aggiunto che questa strategia si tradurrà, tra le alte cose, nell’ancoraggio permanente di due navi da combattimento da superficie (Littoral Combat Ships) di nuova costruzione nel porto della città-Stato a sud della penisola malese. È la prima volta che succede: Singapore, di fatto, diventa una base Usa.
È interessante osservare che l’annuncio arriva proprio mentre la Cina riceve un’offerta dal Pakistan per allestire la sua prima base navale all’estero, a Gwadar: “Abbiamo chiesto ai nostri fratelli cinesi di costruire una base a Gwadar”, ha dichiarato esplicitamente il ministro della Difesa pachistano, Chaudhry Ahmad Mukhtar. Pechino non ha mai confermato, ma della base cinese sulla costa occidentale del Pakistan si vocifera da tempo. Gwadar sarebbe il terminale ideale per le merci made in China che transitano sulla Karakoram Highway e, in senso contrario, per le materie prime che arrivano dal Golfo Persico e dalla Penisola Arabica. La strategia del filo di perle cinese non è prettamente militare, è soprattutto commerciale: serve a garantirsi risorse sul lungo periodo.

In India, intanto, fa notizia l’accordo da 4,1 miliardi di dollari che consentirà alla Indian Air Force (Iaf) di dotarsi dei nuovi aerei cargo; un accordo approvato dal congresso Usa, che di solito pone vincoli alla vendita di tecnologia strategica ai Paesi formalmente non alleati degli Usa. È la transazione militare più consistente finora registrata tra i due Paesi. Dato che l’India non ha alcun patto militare con gli Stati Uniti, è probabile che per il momento i velivoli siano consegnati senza alcune tecnologie particolarmente sensibili. Resta da vedere se a breve-medio periodo, Delhi siglerà il cosiddetto Communication Interoperability and Security Memorandum of Agreement (Cismoa), un patto che consente alle compagnie Usa di trasferire equipaggiamento militare hi-tech a Paesi amici. Da tempo è in corso un riavvicinamento tra India e Usa in funzione anticinese (per entrambi) e soprattutto antipachistana (per l’India).

Se Singapore e India sono in qualche modo delle new entry nella costellazione filo-Usa, Washington non manca di rafforzare militarmente le alleanze già esistenti.
È di questi giorni la notizia che il Pentagono starebbe procedendo all’aggiornamento tecnologico della flotta di caccia F-16 A/B di Taiwan. È una mossa sottile, tesa ad ottenere il consenso del congresso, che teme le reazioni cinesi. L’aggiornamento dei “vecchi” F-16 li renderebbe cioè simili ai più recenti F-16 C/D, scongiurando al tempo stesso la fornitura di questi ultimi a Taipei. Tale ipotesi era già stata definita da Pechino la “linea rossa” che Washington non avrebbe dovuto oltrepassare.
Dopo Fukushima, anche le polemiche con il Giappone a proposito della base militare di Okinawa – che il Pentagono intende trasferire dalla località di Futenma a Henoko, nell’isola stessa, e la popolazione locale vorrebbe fuori dalla prefettura – sembrano silenti o, quanto meno, trascurabili.

A questo punto, osservando la mappa dell’Asia e collegando i vari punti in cui c’è una presenza statunitense diretta e indiretta, si disegna un grande semicerchio che dal Kirghizistan arriva al Giappone: l’accerchiamento della Cina.


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