Fincantieri e il business di guerra africano

di Antonio Mazzeo
Orizzonte Sistemi Navali, società controllata da Fincantieri e partecipata da Selex Sistemi Integrati (gruppo Finmeccanica), si è aggiudicata un contratto dal ministero della difesa dell’Algeria per la costruzione di un’unità da sbarco e supporto logistico destinata alle forze armate nazionali. Il valore della commessa è di circa 400 milioni di euro. Secondo la testata on line Dedalonews, l’imbarcazione sarà una “derivazione progettuale molto potenziata”, sul piano delle capacità operative, delle navi da sbarco portaelicotteri (LPD) della classe “San Giorgio”, utilizzate dalla Marina militare italiana a partire dagli anni ‘90 per intervenire nei maggiori teatri di guerra internazionali (Somalia, Balcani e Kosovo, missioni “Antica Babilonia” in Iraq e “Leonte” in Libano, più recentemente in Libia), per contrastare le imbarcazioni dei migranti nel Mediterraneo o deportare gli immigrati dall’isola di Lampedusa ai centri di reclusione sparsi in mezza Italia.
A differenza delle “cugine” San Giorgio, San Marco e San Giusto, l’unità destinata all’Algeria avrà una lunghezza più ridotta (40 metri), una larghezza di 21 e un dislocamento di circa 8.000 tonnellate. Sarà in grado di imbarcare sino a 350 uomini, 35 veicoli corazzati, motoscafi veloci ed elicotteri da attacco AB212, NH90, SH-3D ed EH-101.
La nave sarà costruita in buona parte negli stabilimenti Fincantieri del Muggiano di La Spezia e in quelli di Riva Trigoso, mentre sarà responsabile dell’integrazione dei sistemi di bordo la società Seastema (Genova) operante nella progettazione e realizzazione di sistemi di automazione destinati ad imbarcazioni civili e militari, di proprietà Fincantieri e della holding svizzera ABB. Nella realizzazione dell’unità saranno coinvolte pure alcune aziende di Finmeccanica specializzate in sistemi di comunicazione, comando e controllo e di combattimento.
“Giungono così a buon fine gli sforzi promozionali di Fincantieri che, in collaborazione con la Marina Militare, nel lontano novembre del 2007 organizzò in Algeria una trasferta della nave “San Giusto”, con a bordo uomini, mezzi anfibi e veicoli del reggimento San Marco ed elicotteri SH-3D del 3° Gruppo Maristaeli di Catania”, aggiunge Dedalonews. In quell’occasione, a promuovere il gioiello navale made in Italy, si recarono in visita ad Algeri l’allora sottosegretario alla difesa, senatore Lorenzo Giovanni Forcieri (Ds-Ulivo poi Pd, odierno presidente dell’Autorità portuale di La Spezia) e il comandante delle forze navali Italiane (COMITMARFOR), ammiraglio Rinaldo Veri, odierno responsabile del comando navale della Nato per il Mediterraneo (Napoli). A capo della “San Giusto” c’era al tempo il capitano di vascello Carlo Cellerino, attuale capo ufficio stampa della Marina militare.
Il trasferimento alle forze armate algerine della nuova unità da guerra è stato salutato con favore da tutte le forze politiche e dalle organizzazioni sindacali italiane, preoccupate per la grave crisi finanziaria e occupazionale che sta colpendo la cantieristica navale. A stigmatizzare l’accordo è intervenuto però opportunamente l’analista Manlio Dinucci con una nota su Il Manifesto. “L’Algeria – scrive Dinucci – ha un tasso di disoccupazione del 30% e ha appena ricevuto un aiuto di 170 milioni di euro dalla Ue, ma spenderà quasi mezzo miliardo per acquistare una nave per la proiezione di potenza dal mare, utilizzabile per operazioni multinazionali in Nordafrica o altrove, e allo stesso tempo per schiacciare eventuali ribellioni interne”.
Il paese nordafricano è al centro da lungo tempo di un violentissimo conflitto politico-militare e continuano le denunce sui crimini, gli abusi e le violazioni dei diritti umani commessi da appartenenti alle forze armate o ai corpi di polizia speciale. Il rapporto 2010 di Amnesty International segnala in particolare come il Dipartimento per l’informazione e la sicurezza (Drs), i servizi segreti militari algerini, sia solito arrestare sospettati per terrorismo e a “detenerli in incommunicado per settimane o mesi”, esponendoli al “rischio di tortura o altri maltrattamenti”. Le autorità statali, inoltre, “non hanno intrapreso alcuna iniziativa per indagare le migliaia di casi di sparizioni forzate che ebbero luogo durante il conflitto interno degli anni ‘90”. Lo scorso anno, un centinaio di persone sono state condannate a morte, anche se le autorità hanno mantenuto la moratoria de facto sulle esecuzioni in vigore dal 1993. “La maggioranza delle sentenze – aggiunge Amnesty – sono state imposte nel contesto di processi collegati al terrorismo, per lo più in assenza degli accusati, ma alcune sono state comminate nei confronti di imputati giudicati colpevoli di omicidio premeditato”. Un progetto di legge per l’abolizione della pena di morte, presentato nel giugno 2010 da un parlamentare dell’opposizione, è stato respinto dal governo.
Durissima la repressione delle proteste popolari dilagate nel paese a partire dal gennaio di quest’anno. Tre persone sono state assassinate dalle unità anti-sommossa che hanno utilizzato armi da fuoco, più di 800 i feriti e migliaia i dimostranti arrestati e sottoposti a lunghe detenzioni. Scenari che rendono particolarmente indigesta la vendita di sistemi d’arma ad un paese che si caratterizza per l’instabilità e che appare particolarmente compromesso in tema di diritti umani ma che tuttavia non sembrano scuotere le coscienze dei politici di governo e d’opposizione e dei sindacalisti italiani.
Altrettanto inopportuna  una recente commessa Fincantieri con un altro stato africano di dubbia fede democratica e pro diritti umani. L’8 luglio 2011, lo stabilimento di Muggiano ha completato i lavori di rifacimento e potenziamento di due unità veloci lanciamissili in dotazione alla marina militare del Kenya (la “Nyayo” e l’“Umoja”), destinate a svolgere “compiti di pattugliamento costiero e contrasto al contrabbando e alla pirateria”. Gli interventi di Fincantieri hanno riguardato in particolare la ricostruzione dello scafo, il rifacimento delle eliche, degli impianti elettrici e dell’automazione, la completa sostituzione di tutti gli apparati di comando e controllo, l’installazione di nuovi sistemi di telecomunicazione e di puntamento. I lavori, come sottolinea una nota dell’azienda cantieristica, “segna l’attenzione di Fincantieri nei confronti del mercato africano, caratterizzato da un sensibile aumento della domanda di nuove unità per le Marine e le Guardie Costiere, in risposta alla necessità di assicurare un maggior presidio delle acque territoriali e per contrastare efficacemente attività terroristiche a danno dei traffici marittimi, nonché fenomeni di pirateria e di pesca di frodo”.
Il mercato continentale fa dunque gola ai manager italiani: l’asso nella manica  per moltiplicare utili e affari potrebbe essere la nuova fregata multimissione franco-italiana “FREMM”, in avanzata fase di realizzazione. Con una lunghezza di 140 metri circa, l’unità raggiunge le 5.900 tonnellate e può imbarcare sino a 145 uomini d’equipaggio più 20 uomini delle forze speciali d’assalto e numerosi elicotteri da guerra NH90 ed EH-101. Enti contraenti per il programma “FREMM” sono le imprese francesi  Thales e DCNS e l’italiana Orizzonte Sistemi Navali. A fare da “cliente di lancio” in terra d’Africa delle nuove fregate multiruolo sarà il Marocco che ha già ordinato alcune unità. Sulle “FREMM” saranno installati siluri MU90, missili Exocet MM40 ed Aster 15 ed i cannoni 76/62 SR stealth prodotti dalla OTO Melara, altra società del gruppo Finmeccanica. Questi ultimi sono pezzi d’artiglieria capaci di una cadenza di tiro molto elevata (sino a 120 proiettili al minuto con una gittata tra i 9 e i 30 chilometri) che, secondo la casa produttrice “li rende particolarmente adatti per la difesa anti-missile o per altri ruoli come la contraerea, il bombardamento navale e costiero”. I cannoni 76/62 possono utilizzare un ampio ventaglio di munizioni, comprese quelle “a frammentazione, incendiarie, anticarro, da esercitazione, a scoppio ritardato, a scoppio ravvicinato e a guida avanzata”. Tuoneranno italiano dunque le battaglie navali africane del XXI secolo.

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