Testo diffuso all’assemblea di Santa Giusta il 28 Novembre
Cos’è un referendum consultivo?
E’ una proposta al ribasso, un ostacolo a una giovane lotta, nata dal basso, che rifiuta il dialogo con le istituzioni, e anzi le considera nemiche, perchè complici indiscutibili dei militari.
L’ultimo anno di lotte antimilitariste ha dimostrato che si può attaccare la presenza militare in Sardegna. Ha dimostrato che in tanti e in pochi si possono disturbare e interrompere le esercitazioni che martoriano la nostra terra, senza deleghe, senza accordi, non accettando neanche per un minuto l’idea di un possibile compromesso con le istituzioni per una riduzione dei poligoni o una revisione degli accordi.
I militari se ne devono andare.
Frequentemente in situazioni di critica al sistema o di lotta, specie contro obiettivi specifici, si sviluppa un tentativo di delega verso canali istituzionali che porta spesso e volentieri all’abbassamento della tensione verso la lotta specifica.
Le energie spese per raccogliere le firme e per convincere il proprio vicino a votare saranno tante e il risultato positivo sarà visto come una vittoria dagli organizzatori, ma questo ci basta? E ancora, basterà a sancire una vittoria contro lo sfruttamento dei militari o sarà l’ennesima vittoria di burro che si scioglierà al primo sole?
Il referendum potrebbe essere lo specchietto per le allodole perfetto per elemosinare un accordo come tanti già ci sono stati, per finti controlli sui rischi alla salute, per lo sfruttamento dei territori e la complicità con le guerre in ogni dove che porta con sé ogni avamposto militare, ogni poligono, ogni caserma.
L’illusione di un momento elettorale in cui è il popolo ad esprimersi è uno spettacolo costoso e ben costruito per perpetuare il sogno che la democrazia vince sempre, pazienza se poi la volontà popolare viene meno per questioni più importanti come sicurezza e indotto lavorativo (tra l’altro fasullo).
Sarebbe inoltre un argomento perfetto di legittimazione delle servitù in caso di esito negativo o peggio, sarebbe la scusa migliore per i nuovi scenari a cui ci vogliono abituare : la riconversione alle attività civili della basi militari. Ricerche, esperimenti, magari finanziati da privati, in cui le tecnologie vengono secretate da segreti industriali, proposte nelle diverse funzioni civili e militari e perché no, applicate agli scenari di guerra come vettori mortali di democrazia.
Il pericolo di situazioni come questa è dietro l’angolo, sono tanti i finanziatori disponibili a lucrare sui poligoni (Università, Finmeccanica, DASS ad esempio) e sfruttare i soldi della difesa per costruirsi i propri giocattoli di morte, ben venga se riescono anche a curare qualcuno.
Dobbiamo dire a chiare lettere che non vogliamo essere e non saremo complici di tutto questo!
Le nostre lotte sono fatte di pratiche attuabili e dimostrabili, fuori dalle logiche ingannatorie di un referendum che non farebbe altro che arginare la rabbia e avallare ancora una volta la delega verso chi, per decenni, ha finto, mascherato, mistificato, la sua impotenza e connivenza verso il mostro militare come le istituzioni regionali e statali.
Abbiamo tra le mani gli strumenti e gli esempi che ci portano a ritenere un referendum di questo tipo dannoso e antitetico per una lotta che è solo all’inizio , e che può tagliare centinaia di chilometri di reti per arrivare a far perdere la serenità a chi vive di guerra.
Su quell’argine a Decimomannu, intorno alle reti a Teulada eravamo in tanti, abbiamo sudato, lottato e gioito di questo, le urne elettorali sono troppo piccole per contenere quella gioia.
La redazione di Sa Tiria