Il 28 febbraio a Trieste un gruppo di pacifisti aderenti alla “Rete italiana per il disarmo” ha presentato un esposto alla magistratura triestina per quanto riguarda un carico di bombe partito dal porto della città verso l’Arabia Saudita per il suo conflitto in atto contro lo Yemen, del quale le agenzie Onu riportano più di seimila morti, di cui circa la metà tra la popolazione civile (di cui 700 bambini), oltre 20mila feriti, milioni di sfollati, più di metà della popolazione ridotta alla fame, e definiscono la situazione come una “catastrofe umanitaria” senza precedenti.
Non stiamo qui a spiegare il fatto che gli esposti riguardo alla violazione di questo o quell’articolo all’Unione Europea, magistrature ecc. non portino a niente, dibattito vecchio nella lotta antimilitarista, ma vogliamo segnalare qui alcuni dati.
Sembra dalla fonte ISTAT commercio estero che questa sia stata l’unica spedizione avvenuta a Trieste nel 2015 di “armamenti e munizioni”, pari a 1.854.100 milioni di euro. Queste bombe sono state prodotte dalla RWM Italia, azienda tedesca del gruppo Rheinmetall con sede legale a Ghedi (Brescia) e stabilimento a Domunovas (Carbonia-Iglesias) in Sardegna. Nonostante il Parlamento Europeo abbia decretato un embargo riguardo alla spedizione di armamenti destinati all’Arabia Saudita per la grave emergenza umanitaria in corso in quei territori, il governo Renzi ha fatto sì che il commercio di armamenti continui come se nulla fosse. Un carico di migliaia di bombe è partito dall’aeroporto di Cagliari con destinazione la base dell’aeronautica militare saudita di Taif, non lontano dalla Mecca. A partire dall’ottobre scorso due spedizioni sono avvenute via aereo cargo, altre due sono state effettuate imbarcando le bombe ai porti di Olbia e Cagliari. Tutto questo mentre un’altra organizzazione pacifista finlandese denunciava la vendita da parte della Beretta di Gardone Val Trompia (e molti sospetti si sono concentrati sulla Sako Oy, azienda finlandese con sede a Riihimäki che fa parte del gruppo Beretta, produttrice di fucili per sniper, cioè “da cecchino”, in dotazione alle forze speciali di numerosi paesi e in gara anche per rifornire i berretti verdi statunitensi) di 205 fucili Sako, modelli TRG-22 e TRG-42, i quali sono stati consegnati alle forze speciali del Bahrein nel gennaio 2011, cioè poche settimane prima dei gravi disordini scoppiati nella capitale Manama, e dell’uccisione di numerosi manifestanti, colpiti da proiettili di fucile sparati proprio dai “cecchini” delle forze speciali governative. L’esportazione è avvenuta con una regolare licenza di tipo militare. Tuttavia, la Sako non ha richiesto lo stesso tipo di licenza per accessori e munizioni chiaramente collegabili alla stessa fornitura: si tratta di ben 20 tonnellate di munizioni speciali per fucili TRG e accessori (zaini, custodie, supporti bipiede), ottiche notturne e parti (canne, grilletti ecc.), tutti prodotti riferibili ai fucili di cui sopra.
Quindi, nonostante tutto il vociare di coalizioni contro il terrorismo islamico e simili, formate per arginare questo o quel problema, in realtà tutto prosegue come sempre, il profitto prima di tutto, le influenze in questa o quell’altra parte del pianeta riguardo le fonti energetiche continua anche grazie ai classici governi fantoccio, e fin qui niente di nuovo. Il punto è che in questo momento sapere come queste armi se ne vanno dall’Italia sarebbe fondamentale per capire come funziona la loro esportazione, quali ditte sono implicate in questi affari, come è organizzata insomma tutta la logistica della guerra. Queste informazioni darebbero slancio alla lotta antimilitarista, ma non solo. Chi si dichiara contro la guerra soltanto con le armi degli esposti e delle denunce, che viene a conoscenza di una serie di informazioni sensibili, che denuncia le negligenze sul rispetto dei vari regolamenti o leggi, dovrebbe cominciare a porsi seriamente delle domande su come inceppare la macchina militare e la sua logistica. Porsi le vere domande su quali siano le azioni più efficaci per non stare più a guardare ed a piangere a questo o quell’apparato di uno Stato, come l’Italia, che non fa niente per nascondere i suoi affari di guerra, fa sì che la retorica legalitaria si sgretoli davanti alla realtà della burocrazia e della guerra. Più guerre significa più soldi, ed è appena passato un secolo dalla Prima Guerra Mondiale dove i pescecani armaioli si ingrassavano sulle spalle e il sangue degli sfruttati.