Bruxelles: Sotto minaccia

Note su alcune evoluzioni repressive sul terreno della guerra sociale

 Un anno fa…
La direttiva anti-terrorismo emanata dall’Unione Europea per essere accolta nella legislatura dei paesi membri risale già al 2003. È stata prodotta sulla scia delle misure anti-terroristiche e dell’inizio della «war on terror» in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. All’epoca era stata presentata dai legislatori come una specie di versione light del Patriot Act statunitense. Ma ovviamente non era questo. Nel frattempo, tutti i paesi dell’Unione Europea l’hanno adottata (ad eccezione dei paesi che già disponevano di leggi più dure in materia di terrorismo, come la Spagna). E lo Stato belga figura fra i primi. A mano a mano, nel corso degli anni e dopo diversi tentativi (piuttosto infruttuosi) di utilizzarla soprattutto contro comunisti turchi e comunisti curdi, la legge è stata oggetto di molti adattamenti, col risultato di un progressivo affinamento della definizione di «terrorismo». È inutile dedicare ancora molte parole a tale definizione: potenzialmente può riguardare ogni espressione, ogni atto ed ogni pensiero di critica allo Stato. Semplice. Quindi, questa legge non è certo nuova. Per combattere la sovversione, gli Stati si sono sempre dotati di un ampio armamentario giuridico, a cui in caso di bisogno si aggiungono decreti di eccezione, manovre dei servizi segreti, «guerra sporca» di sterminio.
L’interesse di istituire un armamentario legale specifico contro la sovversione è ovviamente la concessione di maggiori mezzi agli investigatori e ai servizi di sicurezza, oltre ad un notevole aumento delle pene. Un reato commesso nel quadro di una «partecipazione ad attività terroristiche» viene punito più pesantemente rispetto a quanto accade per lo stesso reato commesso in altro ambito. Di nuovo, nulla di cui stupirsi. Lo Stato non ha mai promesso di essere tenero coi suoi nemici.
L’ultimo aggiornamento della legge anti-terrorismo belga, in data 2010, è istruttivo a questo proposito. Sono stati aggiunti i reati «di incitamento a commettere reati terroristici, seguiti o meno da effetti», «il reclutamento a fini terroristici», «l’addestramento in vista di commettere infrazioni terroristiche». Questo può quindi riguardare ogni proposta rivoluzionaria, la messa a disposizione o lo studio di metodi di lotta e di attacco, la diffusione di idee sovversive. Col risultato che almeno due inchieste con simili capi di imputazione prendono oggi di mira alcuni anarchici in Belgio.
Anche il 2015 è stato molto produttivo in materia di nuove misure e nuove leggi. Facciamo una rapida incursione su questo terreno.
Nel gennaio 2015, il governo crea il «Consiglio Nazionale di Sicurezza», una sorta di stato-maggiore della lotta contro il terrorismo. Questo consiglio riunisce il primo ministro, il capo del centro di crisi del ministero degli Interni, della Sicurezza di Stato, della Polizia Federale, dei Servizi Segreti Militari, della Procura Federale e dell’OCAM [Organo di Coordinamento per l’Analisi della Minaccia]. Da notare che questi ultimi due organi sono stati creati appositamente per combattere il terrorismo. La Procura Federale cerca da anni di rendersi autonoma il più possibile dai giudici istruttori, per attribuirsi a poco a poco il diritto di applicare tutte le misure di indagine e di sorveglianza possibili ed immaginabili di propria iniziativa. Non è altro che il braccio della Polizia federale nell’apparato giudiziario. L’OCAM è stato creato nel 2008 e funziona come una sorta di incrocio di tutti i servizi che si occupano di terrorismo. È quest’organo ad emettere i famigerati avvisi di «minaccia». Ma, per non perdere il filo: il Consiglio Nazionale di Sicurezza giocherà nei prossimi anni un ruolo importante nella lotta contro il terrorismo, la minaccia e la sovversione, disponendo di un’autonomia di azione e di decisione mai avuta prima da nessun consiglio, comitato od organo. Da notare inoltre che è stato creato, sebbene ideato molto prima, sulla scia degli attentati contro Charlie Hebdo e un ipermercato kosher a Parigi.
Ma è nell’inverno del 2015 che le cose subiscono una vera accelerazione. In seguito agli attentati di Parigi del novembre 2015, il governo annuncia 18 nuove misure, in parte già approvate e in corso di applicazione. Si tratta in particolare del prolungamento della detenzione giudiziaria per terrorismo da 24 a 72 ore (triplicando il tempo degli inquirenti per tenere un sospetto separato da tutto ed «interrogarlo», a buon intenditore…); dell’estensione di particolari metodi di ricerca (intrusioni nei domicili, installazione di microspie e telecamere, infiltrazione…); dell’integrazione del sistema di riconoscimento delle targhe dei veicoli sulle autostrade e all’ingresso delle città; della creazione di una banca dati dei viaggiatori in aereo, in bus e in treno («PNR»); della legalizzazione del dispiegamento permanente di 520 militari nelle strade; e dello studio di un braccialetto elettronico da imporre a tutte le persone schedate dall’OCAM (si tratterebbe di circa 1000 persone). A fine dicembre, dopo alcune rettifiche alla domanda della Commissione per la protezione della vita privata, il governo ha creato una banca dati centrale dei sospettati di terrorismo, accessibile a tutti i servizi del settore. All’inizio di gennaio 2016, la proposta del prolungamento della detenzione giudiziaria a 72 ore viene allargata a tutte le accuse (e quindi non al solo «terrorismo»), con più garanzie ai poliziotti che indagano sui «dossier pesanti» per preservarne l’anonimato. A fine gennaio, viene mandata alla Camera una proposta di legge per rendere punibile, sempre nell’ambito della legge anti-terrorismo, la «preparazione di un attentato»: l’osservazione di un potenziale obiettivo, lo studio delle vie di fuga, la ricerca di nascondigli, la ricerca di obiettivi. Le pene previste, come per ogni reato nell’ambito dell’anti-terrorismo, vanno dai 5 ai 10 anni di carcere. Questa proposta va di pari passo con un cambiamento nella Costituzione al fine di creare la possibilità per il governo di decretare «lo stato d’assedio», anche al di fuori delle situazioni in cui ciò era già possibile (soprattutto guerra, invasione straniera e insurrezione).
Infine, all’inizio di febbraio, il governo federale ha presentato il suo «piano d’azione contro il terrorismo, il radicalismo e l’estremismo violento», indicando a Bruxelles i comuni di Molenbeek, Saint-Gilles, Saint-Josse, Schaerbeek, Laeken, Anderlecht, Koekelberg e la città fiamminga di Vilvorde. Nell’immediato, 300 poliziotti federali andranno a rafforzare le zone di polizia locali, coi primi 50 sbirri già arrivati a Molenbeek all’indomani dell’annuncio del piano. A medio termine, il piano prevede il reclutamento di 1000 poliziotti supplementari per la Polizia Federale, rinforzi che saranno impiegati principalmente nella lotta contro il radicalismo. La Sicurezza di Stato potrà assumere altri 100 addetti (attualmente sono circa 700). Fondi supplementari anche per la Giustizia. L’obiettivo principale del piano contro il terrorismo — non è inventato — è… il lavoro nero, i documenti falsi, il traffico d’armi, la «frode sociale», l’economia illegale. Una nuova cellula d’ispezione verrà creata allo scopo di effettuare controlli lampo nei comuni citati. Infine, il piano prevede l’interconnessione e l’integrazione di tutte le reti di videosorveglianza in una sola piattaforma accessibile alla Polizia Federale, così come la legalizzazione e la moltiplicazione di telecamere mobili di riconoscimento delle targhe d’immatricolazione, montate sul tetto delle volanti.
Nel mirino
«Ripulirò Molenbeek e sradicherò i problemi. Siamo in guerra»
Jan Jambon, ministro degli Interni, 14 novembre 2015
I primi obiettivi della repressione statale sono da sempre i ceti bassi della popolazione, le «classi pericolose», i poveri e gli esclusi, in breve i proletari. Non è diverso ora che lo Stato pretende che la minaccia più importante sia lo jihadismo, al posto delle correnti rivoluzionarie. Attenzione, abbiamo proprio detto «pretende», perché gli schermi di fumo della propaganda non dovrebbero farci dimenticare che nel mirino c’è sempre (anche) la sovversione, la sovversione che cerca di scuotere le catene dello sfruttamento capitalista e dell’oppressione statale. È difficile qualificare gli jhadisti come «sovversivi» (così come è difficile, se non impossibile, parlarne in termini generali), ma questa corrente contro-rivoluzionaria riesce oggi a reclutare molti proletari arrabbiati. Ciò induce a non considerarli generalmente del tutto estranei o tagliati fuori dalla conflittualità sociale. Che il loro progetto sia oppressivo e autoritario, che i loro metodi di lotta siano in genere altrettanto disgustosi di quelli degli Stati, che i loro obiettivi primari nei moti in cui si ritrovano di fronte a spinte rivoluzionarie (come in Libia, in Egitto o in Siria) siano proprio i sovversivi e i rivoluzionari, non toglie il fatto che per noi, anarchici e rivoluzionari, gli islamisti cerchino di stabilire la propria egemonia sul terreno della guerra sociale fra oppressori e oppressi. Ed è per questo che sono nostri mortali nemici. Per lo Stato, non lo sono. Un’intesa fra Stati e gruppi islamici è stata possibile nel passato e lo sarà anche in futuro. Il parallelo con gli stalinisti e soci non è così difficile da fare.
Sulla scia delle nuove misure del governo, l’obiettivo di quest’ultimo è sempre lo stesso. Ha annunciato controlli casa per casa a Molenbeek (estesi in seguito a tutti i quartieri poveri di Bruxelles), che dopo l’annuncio del piano federale nel febbraio 2016 si sono trasformati in controlli «tecnologici»: con verifica del consumo di energia al fine di determinare il numero di abitanti e di passare a un controllo domiciliare in caso di sospetti. Nella sua spiegazione del legame fra «terrorismo» e «delinquenza», due mondi si incrociano e si aiutano reciprocamente (è possibile, ma non scordiamo nemmeno che lo Stato si è spesso servito di frange del banditismo nell’esecuzione di lavori sporchi per combattere la sovversione, e che ha sempre cercato di gestire la delinquenza al fine di meglio prevenire e controllare ogni escursione verso la rivolta), e annuncia una serie di «piani d’azione» contro il traffico d’armi, il traffico di stupefacenti, gli ambienti di rapinatori e ladri… In Francia lo Stato si è mostrato più esplicito in tale intervento: più di 3000 perquisizioni amministrative (rese legali dallo «stato d’emergenza»), quasi tutte contro persone già note per fatti criminali. E poi ovviamente è il turno di un’altra fascia proletaria, obiettivo preferito dagli Stati: i clandestini e i rifugiati. Rafforzamento dei controlli alle frontiere del Belgio e dell’Unione Europea, creazione di giganteschi campi di concentramento (laconicamente chiamati «hot spot»), sgombero della giungla di Calais, installazione di filo spinato alle frontiere di diversi paesi europei, militarizzazione della politica del «push back» nel Mediterraneo, espulsioni collettive…
Non c’è stato bisogno di attendere poi molto dopo gli attentati di Parigi perché «la minaccia» venisse estesa ben oltre lo jihadismo. Attraverso la stampa, la Sicurezza di Stato belga mette in guardia contro «l’anarchismo violento» che moltiplica i sabotaggi e gli attacchi contro le strutture del dominio sul suolo bega. Durante gli isterici dibattiti in parlamento sul terrorismo, alcuni parlamentari così come i ministri degli Interni e della Giustizia ricordano che ci sono anche «quegli anarchici a minacciare la sicurezza dell’apparato statale». E dietro le quinte della magistratura belga, si prepara un primo processo per «organizzazione terroristica» contro una decina di anarchici e di anti-autoritari.
Alla fine, il rafforzamento securitario che doveva necessariamente accompagnare la ristrutturazione economica e politica in corso allo scopo di stroncare ogni spinta insurrezionale ha subito un’accelerazione a causa della «minaccia terroristica» e di alcuni attentati jihadisti sul suolo europeo. Questi attentati sono piuttosto «deboli», se così si può dire, paragonati a periodi in cui l’Europa ha conosciuto una ondata di forte sovversione, anche armata, come negli anni 70 o 80. Un’ondata interna in seguito alla quale sono entrati in campo anche diversi gruppi e servizi contro-rivoluzionari, distinguendosi in attentati indiscriminati contro treni, ristoranti, bar, metropolitane o aerei. Ma il paragone sembra ormai impossibile. I decenni di cancellazione della memoria storica, l’annullamento dei concetti di «passato» e «avvenire» a vantaggio di un presente eterno e totalitario, la distruzione della capacità critica dell’uomo attraverso, fra l’altro, l’introduzione massiccia della tecnologia e della visione totalitaria del mondo che esprime, ci consegnano con mani e piedi legati alla gestione sempre più militarizzata e totalitaria dei rapporti sociali.
Questa accelerazione nel rafforzamento della capacità repressiva non si esprime soltanto nell’armamentario allargato dell’anti-terrorismo, ma anche nei vasti programmi di controllo quasi totale sui movimenti di persone e i rapporti interpersonali, di costruzione di nuove prigioni e di centri di detenzione un po’ dovunque, di trasformazione delle metropoli in prigioni a cielo aperto. Così si delineano, sempre più rapidamente, i futuri terreni della guerra sociale.
La rete di controllo
«Se sottolineiamo questa evoluzione, non è per semplice curiosità e voglia di comprendere il motivo per cui la conflittualità sociale non segue più oggi il vecchio schema ben ordinato della lotta di classe fra proletariato e borghesia, dei due blocchi ben identificabili che si accapigliano attorno a una fortezza, ma per scoprire snodi di intervento, punti in cui sia possibile attaccare lo sfruttamento, quindi la riproduzione sociale. Snodi che secondo noi sono situati tra l’altro nelle infrastrutture da cui dipendono l’economia ed il potere. Questa infrastruttura decentrata e altamente complessa ha reso possibile le nuove forme di sfruttamento (basti pensare all’attuale necessità di essere raggiungibili in ogni momento attraverso il cellulare, nella logica della flessibilità del lavoro), ed è appunto qui che lo sfruttamento odierno può essere attaccato. I cavi di fibre ottiche, le reti di trasporto, l’alimentazione energetica, le infrastrutture di comunicazione come i ripetitori telefonici: ecco tutto un campo di intervento che per sua natura è incontrollabile, dove non c’è più nessun centro da conquistare o posizione da tenere, dove il decentramento implica per logica una organizzazione decentralizzata, informale, in piccoli gruppi, di attacco»
Alcuni guastatori dell’edificio sociale
Non è questione di indignarsi per il giro di vite in materia di leggi repressive. Non foss’altro perché la rete di controllo di cui dispone il dominio va ben oltre il codice penale, una rete in pieno sviluppo. Analizziamo alcuni assi principali di questa rete.
Controllo sul movimento delle persone
Oggi, in Europa, è diventato non impossibile, ma certo complicato e difficile, spostarsi ancora senza lasciare tracce del proprio passaggio. Le reti di trasporto sono costantemente poste sotto una maggiore sorveglianza, resa possibile e soprattutto fruibile dalle moderne tecnologie. Un programma in grado di riconoscere il volto di un sospetto su migliaia di ore di video delle telecamere di sorveglianza è ben altra cosa di un essere umano costretto a visionare quei video ore ed ore sperando di scoprire sullo schermo il sospetto in questione. Gli assi di trasporto sono in effetti vettori di controllo. Dall’acquisto di un biglietto (sempre più raro poterlo fare in contanti, senza fornire dati personali, senza bisogno del localizzatore incorporato nell’uomo moderno — lo smartphone), al passaggio nelle stazioni e alle fermate, fino agli stessi mezzi di trasporto, quasi sempre dotati di videosorveglianza. Accade lo stesso per gli spostamenti in automobile. All’entrata nelle città e alle frontiere, scanner di targhe avvertono le forze dell’ordine dell’arrivo di una persona sospetta, di un veicolo con targhe rubate, di un evasore di assicurazione. Le nuove automobili sono della generazione «connessa», cioè salvaguardano e condividono permanentemente i dati del percorso, la maniera di guidare e anche le condizioni di salute di autisti e passeggeri. Se in alcune marche di auto l’«eCall», la «scatola nera» per automobili (che registra percorsi e avverte automaticamente i servizi di soccorso in caso di incidente), è già integrata da qualche anno, diventerà obbligatoria per tutti i veicoli nuovi nell’Unione Europea a partire dal 2018. Per ridurre i morti sulla strada, ovviamente. Ma, lo si menzionava già, il controllo per eccellenza sui movimenti delle persone è certo l’apparecchio che la stragrande maggioranza dei nostri contemporanei ha sempre con sé come se si trattasse di un talismano: il cellulare. Tracciabile, e non dispiaccia agli ottimisti, effettivamente tracciato 24 ore su 24, dappertutto e in ogni condizione. Una formidabile mappatura, ormai gestibile grazie ai progressi nei campi di stoccaggio, registrazione e utilizzo dei dati. E per i cattivi: la polizia inglese ha diffuso milioni di volantini dando indicazioni alle persone per «riconoscere possibili terroristi». Il non possesso di un telefonino o un suo utilizzo «anormale» (non ogni venti secondi) sono considerati indicatori di potenziale minaccia.
Il controllo dei movimenti è onnipresente, ma non è impossibile eluderlo. Ed è ancora meno impossibile sabotarlo. Infatti, le mura della cittadella sono quasi invisibili (o più precisamente, interrate ad almeno 60 centimetri di profondità sotto forma di cavi in fibra ottica), ma le sue torri e i suoi bastioni restano facilmente reperibili, come i ripetitori di telefonia e di internet mobile, gli hangar di server, i centri dati… Inoltre, benché dotati di sistemi di alimentazione elettrica di soccorso, tutti gli apparecchi dipendono invariabilmente da una fonte energetica.
Controllo dei rapporti fra le persone
Internet e la comunicazione digitale hanno sostituito la vecchia spia piazzata all’angolo della strada. L’enormità dei dati non è d’altronde utilizzata solo per incolpare dei sospettati e determinarne le frequentazioni e i possibili complici o appoggi, ma anche per prevenire. Tutto uno sviluppo scientifico è oggi reso possibile e progredisce grazie alla disponibilità di questa miriade assicurata (nel presente e nel futuro) di dati. Gli studi sul comportamento umano, il funzionamento del cervello, le reazioni, le emozioni, i modi di rapportarsi… non hanno più bisogno di cavie: i dati necessari alla ricerca sono ormai a disposizione di ogni ricercatore. L’integrazione di questo elemento dello sviluppo tecnologico (i dati informatici massivi) negli altri settori di ricerca (le scienze cognitive, le nanotecnologie, la biologia, l’economia, la psicologia…) procede speditamente e annuncia la scienza integrata del futuro. Interamente a disposizione del dominio.
E per i recalcitranti, lo sviluppo tecnologico facilita enormemente il lavoro alle unità cinofile della polizia. Ascoltare conversazioni e determinare abitudini di vita? Installare qualche microspia in casa. Determinare percorsi e frequentazioni? Cucire un GPS in una scarpa, piazzarlo in macchina o nella bicicletta. Pedinare? Seguire, dal vivo, attraverso l’interconnessione di tutte le telecamere di videosorveglianza la persona in questione (a Bruxelles è stata appena lanciata una piattaforma che consente alla polizia di aver accesso continuo e di orientare tutte le telecamere della città, dei trasporti pubblici, delle stazioni, degli edifici pubblici — e l’intenzione è di integrarvi anche le telecamere private).
Occorrerà molta creatività, inventiva, una maggiore mobilità e probabilmente l’abbandono totale e definitivo di tutti gli apparecchi tecnologici per creare ancora dei «buchi» nella sorveglianza. Nei documenti strategici dei servizi segreti americani si prevede che i «terroristi» ritorneranno ai vecchi metodi di clandestinità e di comunicazione per evitare i radar. Come i loro colleghi della Polizia Federale belga che sottolineano, in un recente rapporto, la necessità di rivalorizzare i vecchi metodi di infiltrazione e di delazione, i servizi americani mettono in guardia da una fiducia troppo assoluta negli strumenti tecnologici.
Controllo del comportamento umano
«Quel che ci si deve chiedere — e solo questo conta — è di chi è la loro [degli autori di fantascienza] fantasia.
E la risposta a tale domanda suona: essi hanno la fantasia dei loro fratelli più potenti, la fantasia di quelli che stanno seduti nei laboratori e nelle officine, ai loro tavoli da progettisti, per preparare il mondo esclusivamente tecnico di dopodomani. Gli autori di fantascienza si nutrono del loro spirito d’invenzione, cioè di quello degli scienziati e degli ingegneri che già oggi sono i padroni del mondo; la loro fantasia è parassitaria, l’attività a cui si dedicano è un furto: insomma essi copiano i blueprints progettati dai loro fratelli e, rivelando alcuni segreti del futuro, li offrono ai contemporanei da consumare come faits accomplis , come monde accompli».
Günther Anders, L’individuo
Istruttivo a questo proposito è il film di fantascienza Minority Report, in cui le macchine possono prevedere e avvertire i poliziotti dell’imminenza di un crimine. Se nel film la previsione dipende ancora dalla trasmissione di dati da parte di esseri umani mutanti (metafora dell’uomo-apparato), la realtà sta per rendere obsoleto quel film. Perché, come si diceva prima, le scienze comportamentali, alimentate dagli altri campi di ricerca e disponendo ormai di una base di dati infinita, accoppiate alla ricerca in neuroscienza e al «brain mapping», avanzano a grandi passi verso la capacità di prevedere il comportamento umano. Prevedere, nel senso che già la sensibilità, l’individualità, l’immaginazione subiscono da decenni feroci attacchi da parte del dominio, che decapita l’essere umano dei suoi desideri, dei capricci, della follia, della sofferenza (quest’ultimo punto può lasciar interdetti, pensando alla profonda tristezza in cui sono sprofondati i nostri contemporanei del mondo occidentale; ma è creando la sindrome generalizzata della «depressione» che il sistema rafforza l’adesione e la dipendenza dalle soluzioni proposte, eliminando la sofferenza «autentica», se così si può dire, a beneficio di un surrogato il cui superamento dipende dall’ausilio di prodotti e mentalità «offerti» dal sistema).
Il controllo del comportamento umano non può comunque privarsi delle istituzioni di coercizione classica (prigioni, campi di detenzione, ospedali psichiatrici,…), e forse non lo potrà mai, ma ciò non impedisce che il dominio faccia profilare all’orizzonte un superamento formidabile: dalla situazione in cui impone ai suoi sudditi i comportamenti da adottare, a una situazione in cui i sudditi interiorizzino, anzi no, chiedano, anzi no, esigano i comportamenti prescritti e utili alla produzione e alla perpetuazione del dominio.
Un impressionante esempio ci viene fornito — e malgrado le apparenze non ci stiamo allontanando dall’oggetto iniziale di questo scritto — dai cambiamenti del comportamento umano, in appena pochi anni, in seguito alla diffusione degli smartphone. La parola espressa non ha più peso (anche solo mettersi d’accordo per un appuntamento) — è la capacità di manipolarla continuamente ad uscirne vincente e a determinare i rapporti umani. Gli oggetti di un’intera storia di letteratura, di musica, di poesia, d’arte, di costumi, di scherzi, come ad esempio l’incontro ormai gestito dalle applicazioni, facilitano queste storie sempre complicate e ambigue. Ovunque, al lavoro, in metropolitana, a scuola, nella propria stanza, a tavola, nella foresta, non si è più veramente , si è assai più nel mondo dello schermo tattile. Questo cambiamento comportamentale in seguito alla generalizzazione di un apparecchio è intrinsecamente repressivo, non foss’altro perché permette un controllo in diretta, seguito e conservato, di tutto ciò che si «fa», di ciò che si «ama», di ciò che si «vuole» e di ciò che si «pensa». L’utilizzo delle virgolette è necessario, poiché per fare, amare, volere e pensare, bisogna disporre di una individualità, una caratteristica ormai quasi estinta. Se si crede che i nostri contemporanei siano teleguidati perché la pubblicità si adegua ai dati che essi forniscono di continuo, si è lungi dal comprendere l’ampiezza di questo progetto del potere. La vendita di merci attraverso una pubblicità «individualizzata» (ancora queste necessarie virgolette) è solo un beneficio conseguente: il progetto reale è il controllo del comportamento umano in funzione delle necessità del dominio.
Minority Report lasciava ancora immaginare che le passioni umane esistano ed agiscano. L’aspetto fantascientifico consisteva nel fatto che la passione che portava alla trasgressione e al crimine potesse essere prevista. L’attuale progetto del potere è più ambizioso: eliminare la passione in tutte le sue forme per sostituirla con un surrogato gestito attraverso gli apparecchi intelligenti, diretti e adattati dai progressi delle scienze comportamentali, cognitive e biologiche.
E allora?
«Un altro esempio di tale chiusura sul terreno dello Stato è la polarizzazione su certi tipi di procedure (come l’anti-terrorismo) considerate delle eccezioni, il che equivale a riconoscere, magari indirettamente, la legge, la giustizia e l’ordine «normale» che le sottende. In questa logica non sorprende che vengano utilizzati i classici mediatori istituzionali (partiti, sindacati, media…) per rivolgersi allo Stato, affinché quest’ultimo, messo davanti alle proprie responsabilità, si presume corregga i suoi abusi o gli errori dei suoi servitori. Tutto avviene quindi come se, in nome dell’urgenza e di una certa «gravità della situazione», si potesse di colpo sbarazzarsi della questione del funzionamento di questo sistema, mettere in primo piano le libertà formali che dovrebbero essere garantite, fare leva sull’indignazione ovvero sul recupero cittadinista, pronti a riabilitare di fatto l’idea di democrazia, di delega e di rappresentazione».
Subversions, La repressione e il suo piccolo mondo
Di fronte all’evoluzione del dominio, gli autori di sinistra si indignano. Una deriva totalitaria. L’eliminazione della sfera privata. La sospensione dei diritti fondamentali. Lo stato d’eccezione. Se alla fine del XIX secolo le leggi instaurate in Francia per reprimere il movimento anarchico sono comunemente conosciute come «leggi scellerate», ciò comporta appunto che esistano leggi che non sono «scellerate». La maggior parte degli anarchici dell’epoca hanno adottato questa definizione, anche se nei loro cuori e nelle loro menti hanno sempre ritenuto che, per dirla con Albert Libertad, «tutte le leggi sono scellerate». Ma quando lo Stato dà un giro di vite, è facile crogiolarsi in un sentimento di nostalgia pur inappropriato.
È esattamente questo, e il sostegno ricercato fra gli universitari e gli intellettuali di sinistra sempre ossessionati dall’idea di uno Stato giusto ed egualitario, a disarmarci davanti ai progressi del dominio. Comprendere l’avanzare del nemico è importante, analizzare le sue ipotesi di lavoro è un compito non trascurabile, conoscere e studiare le sue strutture, i suoi uomini, i suoi nodi è essenziale, eludere la sorveglianza con la creatività clandestina è vitale. Ma tutto ciò non servirebbe a nulla se nei nostri cuori non avessimo l’idea dell’anarchia, della libertà, della distruzione dello Stato, ma solo un’indignazione di fronte alle «derive totalitarie» e all’«eccezione diventata modo di gestione». Perché allora, presto o tardi, attraverso la fatica o la promessa, si troverà pur una maniera per adeguarsi al mondo, per gettare le nostre carte sul tavolo e accettare la vittoria del nostro nemico, per giungere a un accordo con questo mondo che ci consenta di «vivere» un poco, di «respirare» un poco. E far scorrere i nostri giorni nell’ignoranza intenzionale, nella rinuncia di noi stessi, nell’attesa nostalgica.
E quindi? Siamo pronti ad affrontare il mostro, crediamo davvero che ciò sia possibile, siamo certi che la vera gioia risieda nel combattere questo mondo, nella libertà della lotta? Alla retorica guerriera dello Stato risponderemo con una vuota retorica guerriera dell’anarchia? O prenderemo le cose un po’ più sul serio, fra la leggerezza e il rigore? È il momento di fare qualche scelta, e di essere consapevoli che i rischi sostenuti sono grandi, ma che il vero rischio è veder spegnersi la fiamma nei nostri cuori. «In questo scivolamento collettivo verso una condizione di sicurezza nel terrore, chi farà scattare il coltello a serramanico?»
[Bruxelles, Febbraio 2016]

 


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