L’università con l’elmetto

Venerdì scorso sul giornale locale “L’Adige” è uscita un’intervista al Rettore dell’Università di Trento, Paolo Collini. Ecco alcune sue parole: “Dopo quello che è successo ad inizio aprile dovremo inevitabilmente cambiare qualcosa a Povo. Dovremo pensare a più restrizioni, forse anche a blindare qualche area”, e poi “questi provvedimenti influiranno sul modo di lavorare e vivere la facoltà”. L’intervista continua poi con un riferimento a possibili cambiamenti ai protocolli sugli accessi all’università e al modo di conservazione di materiali e apparecchiature.  La polizia ha fatto notare che gli edifici sono vecchi e vulnerabili, quindi spinge l’Ateneo a prendere provvedimenti riguardo alla sicurezza dell’area. Per fare tutto questo ci saranno finanziamenti extra, e qui entra in ballo la seconda parte dell’articolo. Il Consiglio Provinciale ha approvato il finanziamento all’Università di Trento di 183,8 milioni di euro, un 0,9% in più rispetto al 2015. Una cifra che va aggiunta alle tasse universitaria, ai finanziamenti dello Stato e ai proventi delle ricerche. Insomma l’Università ha tutto i soldi per ripagarsi le qualche centinaia di migliaia di euro di danno causati dall’attacco al laboratorio Cryptolab.

L’Università si mette sulla difensiva, si doterà di nuovi mezzi per una ricerca che, è stato svelato, s’intreccia con il mondo militare: lor signori sanno bene che questo è un terreno d’affari, un terreno che non si può abbandonare: siamo in guerra. Quindi blindiamo l’università, in questo caso da chi rifiuta la guerra. Che dire agli studenti di quei laboratori? Se ora questi ragazzi e ragazze, che buttano la loro vita a studiare per le multinazionali della guerra, hanno una certa paura o un pensiero poco tranquillo nel momento in cui mettono un passo dentro quei laboratori, la cosa non ci tocca. Il nostro pensiero va a chi oggi viene bombardato dalle loro bombe, represso tramite i loro calcoli matematici, telecamere, microchip e ogni  altro mezzo utile agli eserciti per perfezionare il loro ruolo di massacratori, a tutti e tutte quelle che oggi scappano da fame e massacri. A questi studenti e studentesse diciamo ancora una volta di disertare ed attaccare chi collabora con i signori dello sfruttamento e della guerra. Ai padroni dell’Università ricordiamo uno slogan vecchio ma sempre più attuale: “Nessuna pace per chi vive di guerra”.

 

romperelerighe


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