Tratto da nobordersard
Pochi giorni fa è stata pubblicata da vari mezzi di informazione una lettera dei lavoratori della RWM, che hanno finalmente trovato il coraggio (si fa per dire) di prendere parola e posizione, all’interno dello spinosissimo dibattito che da quasi due anni è nato intorno alle attività dello stabilimento sulcitano.
Prima di parlare della lettera e del significato delle parole spese dai dipendenti della fabbrica, vale la pena provare a fare un quadro della situazione per capire dove si colloca la produzione di bombe della RWM.
La Sardegna ha la più alta percentuale di territorio occupato dal demanio militare dello stato italiano, circa il 65%. Questa condizione la si vive da circa 70 anni e ha portato a una lenta presa di simpatia da parte dei sardi verso gli invasori in mimetica. Nei decenni l’economia traballante che da almeno due secoli caratterizza l’isola è precipitata, questo tracollo ha elevato le poche ditte in grado di elargire posti di lavoro a tempo indeterminato e stipendi degni di questo nome a una sorta di santificazione. Così negli ultimi trent’anni ditte come l’Alcoa, la Saras, la Portovesme srl invece che essere viste come attività che distruggono il territorio e uccidono chi vi lavora o abita vicino sono state sempre più difese dai lavoratori, che sono arrivati a mentire spudoratamente pur di nascondere l’inquinamento provocato, anche a costo di andarci di mezzo loro stessi, a colpi di tumori e leucemie. Padri che con orgoglio hanno passato al figlio il posto di lavoro con tanto di malattia e morte anticipata inclusa.
Ovviamente la crisi non ha risparmiato nessuno, così anche molte di queste ditte sono crollate sotto i colpi dell’apertura del mercato globale, a farne le spese sono stati ad esempio gli stabilimenti di Porto Torres e Ottana, ma anche un buona parte di quello di Portovesme. Così come era stato mezzo secolo prima per le miniere invece che prendere le conseguenze dell’economia come una possibilità di riscatto e cambiamento i sardi hanno piegato la testa. Invece che rendersi conto che con l’industria pesante e il suo fallimento il fondo era stato toccato (centinaia di morti, chilometri di territorio sardo irreversibilmente inquinati, migliaia di persone malate) hanno implorato e tuttora implorano un lavoro a qualsiasi costo. Ed ecco che arriviamo al caso della RWM, l’evoluzione (o forse meglio l’involuzione) dell’essere umano venduto al profitto, non solo i lavoratori RWM sono stati disponibili a vendere la loro terra, la loro vita, ma anche l’etica. Un’intera comunità si è venduta alle dolci parole e alle croccanti banconote provenienti dalla Germania, da dieci anni ormai a Domusbombas (così è stato giustamente ribattezzato il paese) si producono ordigni micidiali, venduti agli eserciti del mondo, usati in questo momento nel conflitto in Yemen.
Questa premessa era necessaria per provare a spiegare le contraddizioni con le quali ci si è scontrati nel progettare un intervento concreto che potesse portare alla chiusura definitiva della fabbrica di Domusnovas. Nei confronti e nelle assemblee è sempre emersa con forza la distanza tra due posizioni ben distinte, quasi opposte. Una parte che voleva considerare gli operai come interlocutori nella lotta, che evidentemente dall’esperienza sopra ricostruita evinceva un ricatto ai danni di queste persone, quasi fossero state obbligate ad accettare questo lavoro e quindi potessero con voglia provare a cambiarlo (qualcuno addirittura crede in una possibile riconversione). Un’altra parte che vedeva nei lavoratori RWM dei nemici, che li paragonava ai militari che “lavorano” dentro le basi militari, quindi una componente con la quale il dialogo fosse assolutamente inutile da ricercare.
Se i tentativi finora fatti a Domusnovas e nei paesi limitrofi avevano lasciato dei dubbi su quali delle due posizioni potesse essere la più adatta a raggiungere l’obiettivo di far cessare la produzione di bombe in Sardegna, c’è da dire che la lettera dei dipendenti RWM non lascia spazio a interpetazioni. Ecco il primo pezzo della lettera che vale la pena leggere per rendersi conto con che tipo di persone si ha a che fare: “è inaccettabile, in quanto profondamente falsa, l’immagine di noi, Lavoratrici e Lavoratori di RWM Italia, così come resa dalle insistenti “attenzioni” di questi mesi: vittime di un presunto ricatto occupazionale, costretti a un lavoro che facciamo nostro malgrado, per colpa di un territorio che non offre nulla di alternativo, desiderosi di una possibile riconversione.”
E per puntualizzare ulteriormente: “Vogliamo, inoltre, precisare che, in ogni caso, tutti noi lavoriamo in questa Azienda per libera scelta, fatta con coscienza, senza ricatti o costrizioni. Lavoriamo in questa azienda perché siamo convinti di contribuire, con la nostra professionalità e dedizione, a produrre sistemi di alta tecnologia e sicurezza, al servizio – in tutti i sensi lecito – della Difesa nazionale e internazionale, un comparto che occupa in Italia migliaia di lavoratori. E’ per noi motivo di orgoglio professionale far parte di questo settore che, a prescindere dalle ideologie e valori etici personali di ognuno di noi, rappresenta una eccellenza industriale del nostro Paese. Troviamo, pertanto, del tutto superficiale e preoccupante proprio per la sua superficialità, la propaganda che finisce per colpevolizzare il nostro lavoro, in quanto il suo prodotto potrebbe essere utilizzato in scenari bellici: è elementare constatare che non sono i nostri prodotti a causare o alimentare i conflitti e che questi di certo non si risolvono impedendo alla nostra azienda di produrre ed esportare.”
Si può quindi quasi ringraziare i lavoratori e le lavoratrici RWM di aver preso finalmente parte al dibattito, sempre ammesso che siano loro ad aver scritto la lettera visto che in realtà non reca alcuna firma. Anche su questo qualcuno ha provato a spingere ancora sul tema del ricatto, ipotizzando che la lettera sia stata scritta dalla direzione e imposta ai lavoratori, se anche così fosse ci sarebbe poca differenza, perchè la mancanza di una replica dall’interno significa approvazione. Ora almeno la situazione è più chiara, forse cesseranno gli appelli alla pazienza e alla comprensione verso persone che non alcuna intenzione di modificare le scelte fatte, forse ora i campi si delineeranno meglio.
Sarà interessante vedere come si porrà l’intero e variegatissimo mondo che finora si è agitato contro la RWM, dall’enfatico Pili sempre pronto a far sapere le notizie interessanti con 5 o 6 ore di ritardo (chissà se ora avrà ancora più paura di perdere quei pochi voti su cui ancora spera), al colorato Cotti, che con le sue cravatte della pace e interrogazioni parlamentari forse spera di fermare i carichi di bombe diretti in Arabia Saudita, a tutti i vari comitati e gruppi che ad eccezione di qualche losca figura si sono mossi genuinamente ma con troppa leggerezza nei confronti di questi mercenari felici e stipendiati.
Si spera che questa esperienza ci serva da lezione, i complici delle nostre lotte non li troveremo negli stabilimenti che vogliamo chiudere, così come nelle basi che vogliamo violare. In questo momento la commistione tra mondo civile e mondo militare viaggia velocissima, è il caso di prendere delle posizioni coerenti con le nostre idee, in fretta e con precisione. La Vitrociset insieme al DASS stanno promuovendo la nuova postazione di lancio missilistico a Villaputzu, a Decimomannu sembra che si viaggi in direzione di esperimenti civili-militari, a Fenosu e Tortolì dovrebbero iniziare a breve.
Il diffondersi dei posti di lavoro civili-militari ovviamente li sdogana, la gente li accetta, li integra, dobbiamo far attenzione a evitare che la Sardegna intera non subisca la trasformazione che ha subito Domusnovas, diventando una regione collusa e complice dei soldati e dei fabbricanti di morte. Purtroppo non partiamo avvantaggiati in questa lotta, tantissimi fra sardi e sarde lavorano nelle forze dell’ordine o nell’esercito, abbiamo il primo posto come numero di secondini, l’intera isola è costellata di basi militari, caserme, prigioni e ora industrie di morte. La reazione avanza veloce e nervosa e noi?