Articolo apparso sulla rivista “Rizoma” numero 3.
Un conflitto
Il 29 agosto 2016, a Zurigo, il congresso generale dell’associazione europea per il miglioramento delle piante Eucarpia, organizzato in collaborazione con Agroscope e l’EPFZ, è stato attaccato con del letame. Lo striscione appeso sulla facciata dell’edificio diceva: “peasants shit on technoscience” – i/le contadini/e cagano sulla tecnoscienza. Un modo per denunciare l’evoluzione dell’agronomia verso un approccio puramente tecnologico. In effetti questo orientamento e la visione industriale del mondo che lo accompagna, si traducono in un rafforzamento del dominio capitalista e degli esperti in tecnologia sulle/i contadine/i e consumatori/rici sempre più alienate/i.
Carol Wagstaff, ricercatrice all’università di Reading (Regno Unito) e presidente del gruppo Verdure a foglia verde della rete Eucarpia, ha scritto su Twitter: “triste momento alla conferenza sulla selezione vegetale Eucarpia dove una presentazione è stata interrotta da manifestanti anti-OGM. Nutrire il mondo è un male?”. È un buon esempio del ruolo che gli viene attribuito scientificamente, del dogma secondo il quale le modificazioni genetiche high-tech sono indispensabili per sopravvivere a discapito dei/lle produttori/rici che nutrono le persone veramente. Più tardi in un articolo sull’azione di Zurigo, Carol Wagstaff ha potuto sviluppare i propri argomenti grazie ad una giornalista pro-OGM, in un articolo intitolato: “oppositori agli OGM gettano letame su scienziati che cercano di risolvere l’incertezza alimentare”.
Da vent’anni la promessa produttivista degli OGM non è stata mantenuta a causa dell’apparizione di debolezze metaboliche nelle piante commercializzate e a causa della resistenza dei parassiti e delle erbacce. Ma di base l’industria degli OGM – appropriandosi delle sementi e accentuando la concentrazione nel settore agricolo – caccia i/le contadini/e dalle loro terre e incrementa le pratiche di accaparramento e distruzione delle risorse, in questo modo aggrava la fame nel mondo. L’agroecologia contadina è globalmente più produttiva e nutre più efficacemente le comunità. La signora Wagstaff, solidarizzando con i/le colleghi/e promotori/rici dell’ingenieria genetica, pretende di far parte dell’ Asse del Bene quando invece agisce soprattutto in difesa del proprio mestiere. S’invoca l’interesse di tutt* per mascherare il corporativismo più volgare che si manifesta quando la “scienza viene attaccata”.
Qualche ora più tardi, il professore Jeremy P.E. Spencer, neuroscienziato della nutrizione sempre dell’università di Reading, sostiene il discorso della collega con il seguente tweet: “Animali! Dovrebbero essere messi tutti in fila e decapitati. Idioti cosi dovrebbero venire eliminati dal pool genetico…al più presto.” Questo appello all’assassinio e alla purificazione genetica è stato trasmesso dalla stampa e in seguito è velocemente sparito da internet, così come gli articoli che lo citavano sono stati occultati. Apparentemente l’autore, o una delle istituzioni per cui lavora o che ne gestisce lo spazio mediatico, ha avuto i mezzi per utilizzare il “diritto all’oblio”, probabilmente perché questo genere di tweet non rientra nell’immagine che la scienza è tenuta a dare di se stessa.
Potremmo accontentarci di dire che questa frecciatina irritata e avventata è piuttosto ridicola. Ma è comunque curioso questo straripamento di odio in seno all’Asse del Bene! E se rivelasse non solo una certa visione del mondo ma anche una potenziale follia totalitaria? Quanti sono a sognare di purificare il pool genetico, il bagaglio genetico dell’umanità? Abbiamo a che fare con istituzioni scientifiche che producono fanatici? Come interpretare questa alleanza perfetta tra visione eugenetica della vita da un lato e sentimenti di superiorità e di disprezzo, in quanto detentori esclusivi della verità, dall’altro?
Lo scopo di questo testo è quello di approfondire la riflessione su queste questioni, a partire dal postulato secondo cui l’azione diretta genera una conflittualità che può distruggere la facciata consensuale dei discorsi convenuti e che garantiscono il mantenimento dell’ordine sociale. Può anche provocare l’emergere di posizioni sconvenienti se non mantenute nell’ombra. Utilizzeremo alcuni punti di riferimento storici, non come prove di una generalità assoluta ma come chiarificazioni su tendenze gravose che sono lontane dall’essere scomparse.
Il proposito, prendendo ad esempio dei ricercatori tedeschi nel periodo tra le due guerre, non è quello di suggerire che gli scienziati sono tutti dei nazisti (anche se il professor Spencer sembra avere un sentimento di superiorità e un odio che all’epoca lo avrebbero reso interessante per il regime) ma piuttosto mostrare come la scienza ed il potere possono darsi forza a vicenda scambiandosi le risorse, partendo da un esempio in cui, comunemente, è accettato che il potere in questione (nazista) non faccia parte del supposto Asse del Bene.
Al servizio del potere e della guerra
Partiamo dal caso di Wilhelm Rudorf, uno dei fondatori di Eucarpia nel 1956 di cui diventa il presidente onorario nel 1965. Una carriera lanciata dal nazismo, aiutata anche dall’attivismo di Rudorf per aiutare i colleghi a scappare dal processo di denazificazione post-bellico e conservare così una situazione comoda all’interno della società. Giovane ricercatore tedesco esiliato in Argentina, la crisi economica lo priva dei mezzi di ricerca e rientra nel suo paese nel 1933. Verrà promosso nel 1936 a direttore del Kaiser Wilhelm Institut, il più importante istituto di ricerca in selezione vegetale della Germania nazista. Sarà uno zelante promotore della ricerca scientifica al servizio dell‘ideologia nazista e dell’economia di guerra. Non sarà l’unico: “le fonti disponibili di quell’epoca non hanno rivelato molti dubbi o critiche da parte di altri/e accademici/he della selezione vegetale. (…) L’autarchia e l’espansionismo, o rispettivamente il colonialismo, sono stati nei loro programmi molto prima della presa di potere del nazismo.” L’integrazione di una stazione di ricerca agronomica nel campo di Auschwitz sotto la direzione di Rudorf è solo un aneddoto.
Thomas Wieland mette in evidenza la missione nazionalista data alla disciplina della selezione vegetale: “in modo da migliorare lo status della loro disciplina e per guadagnare sostegno materiale e simbolico da parte dello Stato, i selezionatori universitari erano entusiasti di mettere in rapporto il proprio soggetto con questioni ben al di la dell’interesse economico dei contadini e dell’industria delle sementi.” In effetti, migliorare le piante doveva permettere l’autarchia della Nazione e sostenere il futuro sforzo bellico per evitare di reiterare la sconfitta del 1918 nella quale il blocco da parte degli Stati nemici è stato fondamentale. Inoltre, dagli anni ’10 la selezione è considerata, da parte dei/lle ricercatori/rici, “lo strumento più efficace tra le tecnologie per lo sviluppo dell’agricoltura coloniale” che deve garantire lo “spazio vitale” (lebensraum) del “Popolo di razza superiore”.
“La politica del Lebensraum e il colonialismo (…) condividono tutti e due l’idea di appropriarsi e di trasformare i territori stranieri attraverso l’agricoltura, includendo gli strumenti della selezione vegetale”. Una visione particolarmente tecnocrata della trasformazione, sempre brutale, delle società verso un’economia coloniale. Visto dal XXI secolo, questo rimanda all’attuale accaparramento neo-coloniale dell’agricoltura del “Sud” da parte delle società di paesi ricchi, sia attraverso la privatizzazione massiccia delle terre, che attraverso la monopolizzazione delle sementi e l’imposizione degli OGM.
Soffermarsi sulla ricerca tedesca nel periodo tra le due guerre ha senso anche perché è stata pioniera in materia di biocarburanti, di incroci con piante selvatiche per ottenerne le loro qualità di resistenza al freddo e alla siccità e anche di mutazioni. “Lo Stato nazional-socialista considerava la ricerca sulla mutazione come sufficientemente importante da essere sostenuta in modo considerevole anche durante la guerra”, portando per esempio ad ottenere un orzo mutato resistente alla peronospora. Si può notare che l’interesse per le mutazioni artificiali viene giustificato dal bisogno di velocizzare i tempi durante la guerra. Oggi la “cisgenesi” è difesa in quanto modo per accelerare l’ottenimento di nuove varietà, “in vista del cambiamento climatico”, ma è soprattutto per l’attuale aspra competizione internazionale.
Il legame tra la ricerca e lo Stato è stato dunque estremamente forte nel settore della selezione vegetale per ragioni precise. Lo Stato nazional-socialista era, come altri regimi fascisti, basato sul corporativismo nazionale forzato, ovvero settori interi dell’economia erano incorporati allo Stato per decreto. In particolare, “l’agricoltura fu uno dei primi settori assoggettati alla Gleichschaltung (“allineamento”). (…) Nel settembre del 1933 tutte le persone implicate nella produzione o nella distribuzione di prodotti agricoli hanno dovuto unirsi all‘organizzazione del Reichsnährstand.” “La stretta cooperazione tra gli universitari della selezione vegetale e le autorità statali – l’orientamento della ricerca verso obbiettivi politici da una parte e la promozione della selezione vegetale accademica dall’altra – è stato un modello di interazione già stabilito quando i nazisti hanno preso il potere nel 1933. Concettualizzando la relazione tra scienza e politica in termini di mutuo scambio di risorse (…), diventa evidente che lo Stato nazional-socialista potesse insistere su uno schema di scambio prestabilito nella selezione vegetale universitaria.” In stile apparentemente meno autoritario, si può pensare al modello svizzero contemporaneo di programmi nazionali di ricerca (PNR), ampie operazioni coordinate al fine di sostenere alcuni orientamenti politici. L’analisi precedente aiuta a vedere dietro alla facciata democratica, per comprendere che il mondo politico e la ricerca hanno l’abitudine di interagire in scambi di servizi buoni e fedeli.
Già nel 1930 per i selezionatori tedeschi “il problema dell’autarchia sembrava un problema più che altro di tecnica che di politica, risolvibile con l’applicazione della genetica moderna”. Questa posizione scientista non è molto diversa da quella odierna che professa che l’ingegneria genetica risolverà la fame nel mondo. In altri termini si sta riducendo un problema politico ed economico ad un mero problema tecnico. In quello che è il nostro contesto si tratta di comprendere quali questioni di potere e quali progetti politici si nascondono dietro a tale mistificazione.
Ma prima usciamo un attimo dalla genetica vegetale per parlare di una figura della chimica tedesca che ha anche la sua importanza nello sviluppo dell’agricoltura industriale. Fritz Haber (foto), inventore del principale procedimento di sintesi dell’ammoniaca – indispensabile per la fabbricazione degli esplosivi e dei concimi azotati – è anche inventore dei gas utilizzati nelle bombe chimiche per conto dell’esercito tedesco durante la prima guerra mondiale. Militante per la politica guerrafondaia del Reich, ribatterà a sua moglie Clara – una chimica e pacifista che si opponeva al suo lavoro – che: “uno studioso appartiene al mondo in tempo di pace e al proprio paese in tempo di guerra”. Clara si suiciderà il 2 maggio 1915, ma ciò non impedirà a Fritz di partire il giorno seguente per dirigere una delle prime operazioni in cui vennero utilizzate le sue armi chimiche sul fronte Est.
Questo esempio classico di opposizione tra due visioni di impiego degli scienziati nella società mette in dubbio la neutralità dietro a cui si riparano coloro che sviluppano tecniche controverse, e mostra un’altra immagine del ricercatore che non è quella veicolata dalla propaganda dominante.
La distinzione che faceva Haber tra tempi di pace e tempi di guerra è anche da mettere in questione. Si vede bene che lo sforzo tedesco di selezione vegetale nel periodo tra le due guerre si inscrive in una politica nazionalista espansionista. Generalmente, le guerre sono un momento di competizione tra nazioni, e le dimensioni economiche e coloniali di questa competizione non sono le meno mortifere. Fondamentalmente nulla è cambiato dopo le guerre mondiali, in cui si affrontavano gli eserciti degli Stati-nazione, salvo che la nostra epoca neoliberale ha in serbo di dare un ruolo maggiore alle forze paramilitari private, ai finanzieri e ai loro avvocati. La guerra economica è permanente – e al pari dell’epoca coloniale, brevetti e debito sono le leve del dominio capitalista “in tempi di pace”.
I/le contadini/e sono da sempre messi a confronto con aggressioni “militari” e “civili” da parte del capitalismo, siano esse gli orrori della guerra militare, o fertilizzanti e pesticidi – che dovrebbero “aiutare” – derivati dai processi Haber-Bosch e delle armi chimiche (inventati dagli stessi chimici) o attraverso brevetti e debiti contratti per accedere a questi input agricoli. La distinzione tra “buono e cattivo utilizzo” delle tecnologie genetiche è pertinente tanto quanto nel caso della chimica, del nucleare (l’uranio arricchito “civile” che serve ad arricchire la bomba), della matematica (balistica e criptologia) o dell’informatica: civile o militare la tecnologia serve soprattutto al dominio.
Il trionfo dell’eugenetica
In seguito al tweet del professor Spencer, il giornale anarchico zurighese Dissonanz ha sottolineato “la visione eugenetica del mondo di questi scienziati”. Prendiamo in esame questa questione dell’eugenetica tra gli scienziati, notando anche come al congresso di Eucarpia sono stati invitati anche ricercatori in genetica umana e animale.
Tornando al nostro punto di riferimento storico: “il Generalplan Ost prevedeva lo schiavismo, la deportazione e l’esecuzione di popolazioni native europee dell’est, che dovevano essere rimpiazzate da una razza di sangue germanico geneticamente migliorata. Dal momento che l’economia del contemplato Lebensraum doveva basarsi sull’agricoltura, il regime nazista considerò le scienze agricole in generale e la selezione vegetale in particolare, strumenti importanti per appropriarsi e trasformare l’Europa dell’Est”. Il principio di miglioramento genetico è stato pensato a livello globale: l’eugenetica razzista e l’espansionismo agro-colonizzatore andavano di pari passo e condividevano una visione di miglioramento genetico. Possiamo scommettere, anche al rischio di essere anacronistici, che se il potere nazista avesse avuto la maestria delle tecnologie genetiche del XXI secolo non se ne sarebbe servito per “migliorare” geneticamente le piante ma piuttosto per migliorare gli “ariani”.
Non abbiamo forse a che fare con un dispositivo totalizzante, l’ingegneria genetica, che si sta attuando in questo momento di situazione pacificata aspettando solo un regime politico totalitario (ovvero dandosi i mezzi dell’egemonia assoluta di un ideologia) per dispiegare appieno il proprio potenziale?
Secondo Jacques Testart “se non possiamo assimilare eugenetica e nazismo, possiamo convenire che l’ideologia eugenetica, con il suo rifiuto dell’altro e la sua pretesa elitista, si trova facilmente integrata all’ideologia totalitarista”. Wieland constata i “continuum storici” della selezione vegetale tedesca: “lo Stato nazional-socialista ha offerto agli accademici selezionatori un ambiente di benvenuto per l’esecuzione di programmi di ricerca già formulati. In questo senso, la transizione della repubblica di Weimar al cosiddetto “terzo Reich” non è stata così brutale come potremmo pensare”.
A quale punto ci troviamo realmente oggi? Oltre all’evidente rimonta dell’estrema destra, siamo in un‘ epoca in cui l’eugenetica, in primis quella medica, si sta rafforzando. Nel 2006, Testart osservò, esempi alla mano, che l’eugenetica è una tendenza vecchia nella storia, che l’epoca attuale porta già in larga misura processi di eugenetica e che “per la prima volta, l’eugenetica avrà i mezzi [tecnici] per attuare le sue promesse storiche”. Raccomandò una limitazione dell’eugenetica per evitare tare che rendono la vita insopportabile. Ma senza essere ingenuo, vedeva chiaramente che era questione di tempo prima che i limiti messi ad un enorme business in certi Stati decadessero perché sorpassati negli Stati concorrenti. Un decennio più tardi, la tecnologia CRISPR-Cas9 ha creato una rottura e ha smosso le linee stabilite nel dibattito pubblico, non solamente nel settore agro-industriale ma anche in quello umano, come mostra il Human gene editing initiative e le tergiversazioni su delle pseudo limitazioni garantiste. Sembra chiaro che non c’è da aspettarsi niente da parte delle istituzioni per impedire qualsiasi cosa, per gioia dei transumanisti.
La corrente transumanista prospera negli ambienti scientifici e beneficia di un’ampia visibilità nei media, predice e spera nel “miglioramento” dell’essere umano grazie alle tecnologie. Uno dei suoi precursori, Kevin Warwick ha dichiarato: “quelli che decideranno di restare umani e rifiuteranno di migliorarsi avranno un serio handicap. Essi costituiranno una sottospecie e saranno gli scimpanzé del futuro”. Questa dichiarazione, che con il suo fanatismo tecnofilo prende in giro i luoghi comuni classisti (gli esseri umani privilegiati costituiranno una classe superiore), razzisti (gli umani considerati inferiori sono disumanizzati), validisti (avere un handicap vuol dire perdere la propria dignità) e specisti (gli scimpanzé sono inferiori agli umani), illustra bene l’immaginario veicolato da questa ideologia. Se si aggiunge questa considerazione del transumanista francese Laurent Alexandre: “non abbiamo bisogno di individui con capacità cognitive ridotte” si vede un validismo radicale, definito in altri termini eugenetica.
Siamo certi che un futuro regime totalitario e razzista apprezzerebbe non solo lo sviluppo attuale dell’ingegneria genetica ma anche quello delle ideologie elitiste negli ambienti scientifici, transumanisti e non. Visto che gli scienziati quasi totalmente si considerano umanisti e probabilmente considerano il transumanismo come “estremo”, il meno che si possa dire è che con la loro reazione di rigetto delle critiche da parte di non-esperti (le “paure irrazionali degli ignoranti”) e la loro spudoratezza nel considerarsi i/le soli/e detentori/rici della verità, il loro elitismo e il loro disprezzo dell’altro si trovano in una situazione precaria con i principi da loro manifestati. Non è per niente sorprendente che “straripamenti” come quello di Spencer fioriscano in un terreno così.
Il genocidio automatizzato
Ed è proprio oggi che l’ingegneria genetica arriva al punto di poter offrire ad una politica eugenetica “i mezzi per attuare le sue promesse storiche”. Inventata da meno di tre anni, la forzatura genetica o “gene drive”, un avatar delle tecniche del “nucleare direzionato” come CRISPR-Cas9, è una tecnologia letteralmente genocidiaria.
1. un essere vivente geneticamente modificato ha nel suo DNA un segmento transgenico che comprende A) il gene che da all’organismo il carattere voluto; B) il gene che fa produrre nelle sue cellule una proteina chiamata “nucleasi”.
2. l’essere modificato si accoppia con uno non modificato, la progenie possiede un cromosoma di ogni genitore, uno transgenico e l’altro no.
3. le cellule dell’essere “nato” producono della nucleasi, anche detta “forbici per DNA”.
4. la nucleasi taglia il cromosoma non transgenico nella stessa posizione dove si trova il segmento transgenico sul cromosoma del genitore transgenico. È programmata per fare questo.
5. per riparare il taglio, la cellula utilizza, come modello, la sequenza transgenica del cromosoma in faccia. Cosi il segmento transgenico è ricopiato sul cromosoma dato dal genitore non transgenico.
6. quando l’essere “nato” si accoppia non ha solo il 50% di possibilità di trasmette il carattere transgenico ma il 100%, dal momento in cui entrambi i cromosomi contengono la sequenza transgenica!
7. e cosi via, fino all’imposizione del gene transgenico a tutta la popolazione.]
Questo modello potrebbe in futuro essere più efficace del dispiegamento di zanzare transgeniche, attuato da diversi anni dall’azienda Oxitec per sradicare la zanzara portatrice della malaria, con la stessa idea di produrre progenie sterile. Molte altre ricerche sono in corso, anche se lo schema descritto sopra è stato formulato teoricamente da solo 2 anni, può eliminare specie animali vettrici di malattie o renderle più resistenti, salvare le salamandre minacciate da un fungo, rendere le erbe diventate resistenti agli erbicidi nuovamente vulnerabili, ecc.
Insomma, una nuova tecnologia lancia una miriade di nuove idee e crea nuovi mercati per rilanciare un’ondata di artificializzazione del mondo, sempre più invasiva e irreversibile. Più irreversibile visto che le contaminazioni di generazioni OGM precedenti avevano poche possibilità di generalizzarsi nell’ambiente a causa delle regole ereditarie e della selezione naturale, contrariamente alla forzatura genetica che è una sorta di reazione a catena per imporre l’egemonia di mutazioni anche se non offre alcun vantaggio ereditario.
Un nuovo vaso di Pandora è stato aperto: questa tecnologia rende realizzabile l’idea di un genocidio automatico. Si può forse preferire parlare di ecocidio, il termine genocidio storicamente è stato legato ai tentativi di sradicamento etnico umano. Ma il termine tecnologia genocidiaria esprime ciò che concretamente permette la forzatura genetica: un’ estirpazione mirata in base a caratteristiche genetiche. Questo termine esprime anche una visione non-antropocentrica: l’estirpazione o la modifica dei caratteri presumibilmente insormontabili, di alcune specie non umane, è estremamente violenta. Farlo in nome di un interesse umano è meno scioccante in una società specista, ma è inaccettabile in una prospettiva egualitaria ed inclusiva. Inoltre, cosa impedisce di applicare queste tecniche all’essere umano?
Ci si può rassicurare mettendo in dubbio l’efficacia di questa tecnica, ma i/le ricercatori/rici adorano le tecnologie non ancora messe a punto in quanto lanciano la sfida di trovare quella che funziona veramente. Fino a quando un giorno non ci arriverà qualcuno/a e qualcun’altro /a ancora la migliorerà ulteriormente, così da renderla economico, ecc. No, l’utilizzo delle nuove tecnologie di selezione e in generale di dati informatico-genomici non è neutrale. È chiaro che i/le ricercatori/rici che inventano le tecniche hanno una forte responsabilità, e coloro che ne moltiplicano le possibilità di applicazione contribuiscono anch’essi, al di là della normalizzazione dell’utilizzo della tecnologia, aprendo nuovi campi di possibilità disastrose, e talvolta senza volerlo.
Quando le maschere cadono
Numerosi esempi rivelano il grado di corruzione del settore dell’ingegneria genetica, che sia all’interno delle multinazionali, o nelle riviste scientifiche o nella ricerca pubblica. Ci si è aggiunto recentemente il racconto dell’estromissione da parte di Agroscope della ricercatrice Angelika Hilbeck, in cambio del valletto delle imprese agrochimiche Jörg Romeis, a causa della scoperta fatta dalla prima di un problema legato ud un mais transgenico che si era rifiutata di nascondere e che il secondo è riuscito ad invisibilizzare. La questione non è di sapere che gli scienziati corrotti sono più o meno corrotti, ma se sono dominanti – ed è più o meno sempre la visione dei promotori dell’ingegneria genetica a trovare spazio nell’establishment scientifico – e da dove viene il potere di definire la verità.
Spesso attori e attrici della selezione vegetale si lamentano di essere assimilate/i al mostro della Monsanto e che il valore del loro lavoro sulle varietà coltivate non venga riconosciuto. Sono rare/i coloro che si distinguono in modo fondamentale dalla logica della tecnocrazia, la maggioranza continua invece a vantare un potenziale tecnologico salvifico dell’ingegneria genetica. Globalmente non contravvengono alla constatazione secondo cui gli scienziati non hanno uno sguardo critico sul potere – escluso qualche luogo comune che li risparmia da un esame delle proprie implicazioni.
Il nazismo è associato al “male” e la democrazia al “bene”… al di là delle categorie, è necessario distinguere coloro che servono il dominio e coloro che servono l’emancipazione. Le prese di posizione che alla fine sono utili a opprimere chi è dominato/a, chi si posiziona in favore del dominio, è da combattere.
Le sementi dette “moderne” vendute ai/lle contadini/e con la promessa di farli uscire dalla povertà, peggiorando invece il loro indebitamento, non fanno che contribuire all’accaparramento delle terre. La soppressione della pratica di riseminare i propri semi, dinamica etnocida dei contadini, è il seguito storico dell’espansione del capitalismo che ha sempre progredito privando i/le contadini/e dell’accesso ai beni comuni e ad altri mezzi di sussistenza già dai tempi delle enclosures.
Mazoyer e Routard mostrano che gli OGM non hanno alcuna possibilità di risolvere la fame nel mondo, anche se tecnicamente mantenessero le loro promesse. Ciò di cui i/le contadini/e hanno bisogno è accesso a terre e prezzi agricoli sufficienti per poter mantenere e migliorare i loro attrezzi, cosa impossibile nell’attuale sistema economico.
Non se ne può più di sentire ricercatori/rici carrieristi/e che si giustificano usando miti assoluti che non fanno altro che legittimare ulteriormente l’esistente e preparare il peggio. Nel momento in cui la guerra al vivente s’intensifica, il totalitarismo non è più una minaccia lontana ma un dispositivo in elaborazione davanti ai nostri occhi. Se gli/le scienziati/e fanno blocco unico davanti alle critiche hanno scelto il loro campo. È troppo facile dichiararsi neutrali e restare lontano dai fronti dove il potere utilizza le armi che la tecnoscienza sviluppa. Ma non è mai troppo tardi per distinguersi dagli Haber e dai Rudorf e unirsi alla resistenza. Che il letame faccia fiorire un avvenire liberato dal dominio.