Grenoble, polo tecnologico pacificato?
Nella notte di 21 novembre ci siamo introdotti nella Casemate di Grenoble (più facile del previsto, dato che la porta era aperta (idioti!) e l’abbiamo devastata (chiunque abbia mai lanciato dei computer attraverso una stanza, saprà di cosa parliamo), e infine l’abbiamo allegramente incendiata. Mentre il telegenico responsabile del fablab si sta agitando pateticamente nei media, noi pubblichiamo il nostro comunicato, eco inseparabile dal nostro atto incendiario contro questa istituzione notoriamente nociva a causa della diffusione di cultura digitale.
Negli anni Settanta molti rivoluzionari hanno investito su Internet, mentre l’informatizzazione delle nostre vite era solo agli inizi. Si parlava freneticamente di orizzontalità, del potenziale formidabile di informazione e di condivisione, e persino, per i più confusi, di emancipazione grazie a computer collegati tra di loro. L’appropriazione popolare di questa tecnologia emergente avrebbe, si diceva, minato tutti gli sforzi coercitivi di governi o mercantili delle aziende. Questa ingenua utopia è cambiata nel giro di mezzo secolo, da una profezia marginale ad un’ideologia popolare. Da dirigenti statali a intellettuali di Sinistra, da e-imprenditori ad associazioni ecologiste, tutti affascinati davanti alla rivoluzione digitale. Il hacker è diventato la nuova icona sovversiva e ovunque vengono lodati i social media, l’open source, il lavoro di gruppo, la trasparenza, la gratuità e l’incommensurabile immaterialità.
Ma il superamento dell’era industriale si è rilevato essere una grossa menzogna: migliaia di chilometri di cavo sotto terra e sotto i mari, data-center in tutti gli angoli dell’emisfero, tutta una serie di centrali nucleari per mantenere l’economia attaccata alla flebo, prodotti sofisticati all’obsolescenza accelerata, schermi in tutti gli spazi, nocività anche tra le pieghe intime del nostro quotidiano; tutto poggia sull’industria ipertrofica, la devastazione dell’ultimo spazio non-urbanizzato e lo sfruttamento e l’eliminazione brutale o diffusa di individui umani o non-umani.
L’illusione digitale continua a far effetto. Eppure, l’impagabile Norbert Wiener teorizzò già nel 1954 la cibernetica come arte di governo attraverso macchine. Eppure, è il più grande potere militare al mondo che sviluppò i primi computer, collegandoli in rete, con il solo obiettivo di vincere efficacemente la guerra. Eppure, sono Google, Amazon, Facebook, Apple, che programmano la rete e si arricchiscono. Eppure, sono gli Stati che regolano e sorvegliano lo spazio digitale. Indubbiamente, profitto e controllo presiedono all’immaterialità immaginaria. La società è finita a riassumersi in un totalitarismo tecnologico, finemente modellato, una versione sempre più autoritaria delle gestione di nostre vite. Che fanno i rivoluzionari? Loro cogestiscono la propria alienazione, creano valute digitali e installano wi-fi anche in spazi occupati.
Quando tutto concorre, nella realtà vissuta, a smentire l’ideologia, le ideologie raddoppiano d’inventiva. Comunicazione e immagini devono mascherare il mondo affinché il regno del falso sia mantenuto.
“Ville Internet” [concorso per la miglior copertura internet come servizio pubblico, ndt] ormai si unisce a “Ville Fleurie” [concorso per il miglior spazio verde, ndt], le ultime paccottiglie tecnologiche sono tutte “smart”, i burocrati dell’educazione nazionale rifilano ai bambini contenuti digitali. Vengono ovunque introdotte nuove interfacce digitali ludiche. Gli amministratori delle città soddisfano le start-up assetate di denaro, e le masse tendenzialmente geek si aprono ai fablab nei quartieri alla moda. Questi dispositivi in apparenza estremamente eterogenei mirano tutti ad accelerare il consenso e l’utilizzo sociale di tecnologie della nostra epoca inquietante.
A noi non ce ne frega minimamente se questi fablab provengono dall’immaginario stantio di un hacker ammirato, ma non è così, o che partecipano alla proficua collaborazione scientifica con uno dei templi della tecnocrazia, il MIT (Massassuchets Institute of Technologies), ed è così; perché rappresentano una nocività che siamo venuti a distruggere. Ma non si tratta di criticare questo o quell’aspetto di inferno tecnologico, di deplorare il progresso dell’onniscenza di Stato, dell’efficienza dell’ordine di mercato, o del nostro crescente addomesticamento eseguito da macchine. Se lottiamo contro il progetto cibernetico che avvelena la nostra sottomissione, è la totalità di questo mondo spregevole che noi attacchiamo.
Siamo un po’ in ritardo per la data del 16 (processo), ma inviamo il nostro sostegno ai compagni nell’operazione Scripta Manent (particolarmente a quelli che subiscono la censura). Inviamo anche forza alle tre compagne di Montreuil, attualmente in detenzione preventiva [rilasciate il 23/11, ndt], come al compagno in isolamento.
I compagni in Cile hanno lanciato un appello per un mese di novembre nero. Anche se ci piace l’idea della campagna internazionale lanciata da anarchici, noi non ci ritroviamo in questa “esigenza di liberare i prigionieri”. Anche se condividiamo l’idea di sostenere i detenuti ribelli con attacchi, ci rifiutiamo di entrare in una logica di dialogo con lo Stato (o con ogni altro potere).
Questa notte abbiamo bruciato la Casemate, domani sarà qualcos’altro, e le nostre vite saranno troppo brevi, in carcere o alla’aria libera, perché tutto ciò che odiamo bruci.