Tratto da frecciaspezzata.noblogs.org
Un contributo pre-corteo del 23 dicembre 2017 a Lugano
La vera catastrofe è che tutto continui come prima. Così Walter Benjamin si esprimeva nei primi anni Quaranta del secolo scorso, mentre si accingeva ad affrontare le estreme conseguenze della barbarie nazifascista. Mentre tentava disperatamente di scappare (alla stregua di molta umanità di questo presente), cercando invano un varco nella ramina franco-spagnola, il filosofo ebreo-tedesco aveva capito che il suo e il nostro disastro non risiedeva tanto nel rumore degli stivali e dei mitra della gestapo, ma nel silenzio complice delle pantofole. In tutti coloro che si affidano alle comodità domestiche del progresso, pur di raccontarsi che in fondo va bene così, che tutto possa essere mantenuto fuori dall’uscio di casa, continuando a vivere come sempre.
Alcuni anni prima di Benjamin, alle prese con l’imminente stessa barbarie, Antonio Gramsci aveva definito l’indifferenza come il peso morto della storia. Un peso morto ma che agisce, poiché in grado di operare potentemente, attraverso la sua passività.
Di qui l’inerzia di una catastrofe che possiamo rintracciare oggi nei commenti e nei comportamenti passivi dell’indifferenza postmoderna, che abitano anche questo scintillante cantone della svizzera italiana. Un’indifferenza inerte e operante allo stesso tempo, resa ancor più pesante e ingombrante dalle performance tecnologiche dello sviluppo e dalla dilatazione del cyber spazio.
Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti? cantava Caludio Lolli negli anni Settanta, proprio mentre lo zombie, il morto che cammina, rivelava cinematograficamente l’aspetto horrorifico della nuova società dei consumi.
Se c’è chi muore scegliendo di vivere, fuggendo o disertando le guerre, la povertà, il disastro climatico ed ecologico, le discriminazioni e lo sfruttamento è perché c’è chi preferisce vivere quotidianamente la propria confortevole morte. La morte del pensiero, della ragione e del dissenso.
Una società di pesi morti e di salme che camminano (o meglio, digitano), per cui tutto possa procedere come ‘sempre’.
Fabrizio De André scrisse la Domenica delle Salme all’indomani della caduta del muro di Berlino e della fine del cosiddetto ‘socialismo reale’. Avvenimenti come la riunificazione tedesca o la fine della guerra fredda prefiguravano, secondo la retorica dei vincitori, un nuovo secolo di pace e di prosperità all’insegna del capitalismo globale. Nella forma di un gas esilerante che presidiava le strade, accompagnando tra i flauti, il cadavere di utopia. Nella ‘strana vittoria’ ottenuta per suicidio dei ‘vinti’, mentre gli Scorpions cantavano incessantemente Wind of Change, De André e molt* altr* (forse con meno successo musicale), coglievano l’inquietante minaccia di una condanna alla pacificazione per tutt* coloro che avevano agitato i sogni rivoluzionari del Novecento. La proliferazione di muri ai confini e di guerre in tutto il pianeta, l’enorme polarizzazione della ricchezza e il prossimo collasso ecosistemico, dovrebbero bastare per cogliere la figura retorica dell’ossimoro capitalista e dei suoi paradossi. Eppure tutto questo non fa notizia. Proprio qui, in questo cantone piccolo piccolo, dove la domenica delle salme si è presto rivelata in ogni fottuto mattino della domenica.
La pace può essere terrificante! Soprattutto se imposta attraverso la guerra preventiva, le operazioni di pace keeping, il controllo globale del counter insurgence, il buon vecchio razzismo colonialista, la xenofobia e il regime di controllo e securizzazione che ne derivano.
Questa constatazione in forma di appello, scelta per un corteo cittadino nella Lugano natalizia, si rivela dannatamente con la stessa puntualità del ‘rigor mortis’, attraverso la pubblicazione degli isterismi propri di una società terribilmente pacificata.
Sono quegli isterismi di chi considera il volantinaggio fuori dai licei e dalle scuole una reale minaccia, per la quale è necessario correre immediatamente ai ripari, trovare i responsabili e capire, tra un commento sui social e un follow su twitter, come sia stato possibile che una tal falla nel sistema si sia potuta aprire. Eccole di nuovo le regine del tua culpa, che affollavano i parrucchieri nella città senza spargimenti di sangue o di detersivo !
Isterismi che ricordano quella vecchia storiella sui pericolosi spacciatori all’uscita delle scuole che vendevano l’eroina nelle caramelle. Ora attenzione : si spaccia un corteo per una festa ! Studenti e studentesse attenzione ché nuove insidie tendono al pensiero ! Roba forte, non si scherza.
Così, mentre il delirio procede di isteria in isteria, amplificato e plasmato ad arte dal sistema mediatico nostrano, in quelle stesse scuole ticinesi destra e sinistra impongono attraverso la violenza classista, venduta per «volontà popolare», l’educazione civica con valutazione in pagella. Con i diritti e i doveri da apprendere per la futura generazione di zombies al servizio del padrone.
Mentre ci si preoccupa per i volantinaggi, fuori e dentro le scuole la presenza fisica e tecnologica di uno stato di polizia è sempre più evidente : videosorveglianza attiva sui sedimi scolastici, presenza di securitas in divisa, giornate di ‘marketing poliziesco’ sempre più frequenti nei programmi scolastici d’istituto, in collaborazione con polizie cantonali e comunali. La scuola che verrà del ministro Emanuele Bertoli, lo stesso che auspica le deportazioni di persone migranti dall’aeroporto di Agno, è già qua. Una scuola pacificata, come la società dei consumi e del controllo che è chiamata a riprodurre. Una scuola in cui l’azione di docenti e alliev* deve essere costantemente riportata alla ragion di stato o al funzionalismo neoliberalista, magari attraverso regole di comportamento sui social media o stigmatizzazioni feroci di ogni forma privata di dissenso. Solo per citare alcuni esempi recenti che non sembrano aver ricevuto la stessa indignazione di un volantinaggio…
Nello stesso momento in cui l’establishment ordo-liberista di questo cantone, con i suoi apparati di polizia e repressione, il suo volto xenofobo e i suoi feticci socialdemocratici, si schierano in difesa del sacrosantissimo natale luganese, persone migranti sono considerate alla stregua di eccedenze umane e ridotte in campi disseminati ad ogni latitudine e con forme di gestione e di estrazione di valore sempre più perfezionate. Fascismi nuovi e vecchi avanzano in tutto l’emisfero occidentale. Imprese di ogni tipo saccheggiano il pianeta al riparo di confortevoli confini rossocrociati. Oppure armano le guerre dimenticate di questa pace terrificante, come quella condotta dallo stato israeliano (nuovo ‘el dorado’ dell’industria turistica svizzera) nei confronti della popolazione palestinese.
Mentre agitano la difesa per la nostra pace del dissenso, spingono la guerra ogni giorno dentro le nostre stesse vite
Se la nostra non sarà propriamente una festa, la loro è molto simile a un ballo mascherato. Si tratta ora di muovere i primi passi di danza e di riconoscersi sui cammini della rivolta. A cominciare sarà un corteo comunicativo, determinato e consapevole, con l’intento di marcare una presenza visibile nelle strade di una città sempre più escludente. Invitiamo quindi tutt* coloro che potrebbero condividere queste riflessioni, questa condizione o questo disagio, a non farsi spaventare da isterismi, arroganza e paure da parte dei soliti noti. Per tutto quello che avviene e per tutto ciò che non succede in questo cantone ammalato di paura.
PER CHI PACE NON CERCA E GUERRA NON SOPPORTA CI SI VEDE IN STRADA
SABATO 23 DICEMBRE, ore 14:00, Piazza Molino Nuovo.