Volantino distribuito a Trento in occasione della “Green Week”
Anche quest’anno a Trento è stato organizzato il festival Green Week, una serie di incontri per promuovere la cosiddetta “economia verde” attraverso le “fabbriche della sostenibilità”. Ma dietro la settimana verde si nascondono un mondo in guerra e diverse facce piuttosto note. Fin dalle edizioni degli anni passati, che hanno visto partecipare Alessandro Profumo (a.d. di Leonardo Finmeccanica), Roberto Siagri (a.d. e presidente di Eurotech – sempre del gruppo Leonardo, produttore dei computer indossabili “Zypad” e tecnologie per il progetto “Soldato futuro”) e diversi consiglieri dell’amministrazione dell’Eni, solo per citare alcuni nomi, anche quest’anno, come da copione, non mancano le promozioni aziendali di chi fa soldi con la guerra e cerca di giustificare col volto “green” interessi milionari come quello del petrolio.
In questi giorni negli spazi dell’Università di Trento hanno parlato Fincantieri (avanguardia europea nella produzione di navi da guerra), Unicredit (tra i i maggiori finanziatori del governo turco che proprio in questi giorni sta bombardando Afrin facendo centinaia di morti), Adecco (tra i finanziatori del progetto TAP che sta devastando il Salento), Federico Galliano (manager per le relazioni governative della General Motors, coinvolta nella produzione di mezzi militari per gli eserciti di mezzo mondo). Per chiudere il cerchio è stato invitato addirittura Gentiloni, a capo di quel governo che attraverso il noto sbirro Minniti ha sborsato milioni per la realizzazione dei lager libici pavoneggiandosi di aver ridotto gli sbarchi di migranti sul suolo italiano. Sembra quasi uno scherzo che a proporre il mondo “eco-sostenibile” siano proprio i maggiori produttori di armi e i più noti devastatori dei territori di tutto il mondo. Ma a ben guardare non stupisce che maestri della guerra, del petrolio e dello Stato si trovino tutti insieme a “presentare il futuro”. Mentre lo Stato italiano finanzia i campi di concentramento in Libia (dove sono detenute circa un milione di persone) e paga le milizie per impedire le partenze (contrattando anche con quelli che definisce “terroristi jihadisti”), i carabinieri addestrano le tribù del deserto affiancandosi alla costruzione del “muro elettronico” nel confine a sud della Libia progettato da Leonardo. Dall’altra Eni, che in Libia controlla circa 35.000 chilometri quadrati di territorio, continua ad inaugurare pozzi petroliferi facendoli difendere dalle stesse milizie pagate per impedire le partenze. Eni e Leonardo guadagnano dove lo Stato difende quel privilegio economico con la guerra. Anche a livello ambientale l’economia verde è una gigantesca bugia: per esempio il biodiesel, prodotto di interesse nell’accordo ENI-FIAT del novembre scorso, è fabbricato a partire da materie di prima (olio di palma) e seconda (grassi animali, olii di frittura) generazione le cui monocolture distruggono intere foreste. I biocarburanti producono nel complesso emissioni superiori al gasolio di origine fossile – la soia ne produce il doppio, l’olio di palma il triplo – ed Eni possiede ettari ed ettari di terra anche in Angola e Congo dove coltiva piante oleose. Ecco l’ipocrisia “green”: una faccia pulita per aumentare gli incassi e costringere le popolazioni locali alla fuga. Lo spossessamento di terreni destinati all’uso agricolo alimentare, spesso unica possibilità di sopravvivenza, è infatti una delle cause dei flussi migratori. Insomma, la Green Week non è che il palcoscenico di una manica di assassini che presentano qui il volto green dell’economia, e fanno vedere i sorci verdi altrove coi bombardamenti e i lager. È questa l’economia di guerra, e non ci stupisce nemmeno che l’università di Trento – che da anni collabora con aziende degli armamenti – accolga festival di questo tipo. Alla schiera politica che insiste sullo sviluppo economico dei paesi dell’Africa con l’ipocrisia dell'”aiutiamoli a casa loro”, dovremmo rispondere che se qualcuno non riesce più a sopravvivere è proprio per gli interessi di questi signori della guerra. Ecco chi dovrebbe tornarsene da dove è venuto.
Anarchici e antimilitaristi