La guerra de-umanizzata e i suoi rovesci

Articolo tratto dal numero 5 della rivista anarchica “i giorni e le notti”

La guerra de-umanizzata e i suoi rovesci

 

Nelle tecnologie militari si evidenzia un trend emergente,

a causa della combinata azione di fattori finanziari e de-

mografici, che riducendo i bilanci della difesa e il numero

dei soldati disponibili, nel futuro impiego delle forze porterà a

sostituire il man power con apparecchiature unmanned o droni.

CEMISS, 2017

 

I contorni delle parole

 

Partiamo dai fatti… no, questa volta, incominciamo dalle parole. Ci sono eventi, personaggi o atteggiamenti che meriterebbero appena un’occhiata per destare un moto d’animo d’istinto e d’improvviso dove ogni parola si renderebbe superflua; fatti che, per le corde percettive che vanno a toccare, possono essere appresi e descritti con la facilità d’un bambino. Sarebbe allora conveniente fermarsi alle apparenze, per non dover blandire parole vuote e giustificazioni. Quando invece la parola passa allo Stato, o alle sue agenzie, i contorni delle descrizioni si fanno di notte e di nebbia e ogni termine è solito nascondere un’amara sorpresa. La guerra diventa una o molteplici “operazioni di polizia internazionale”. L’atteggiamento coloniale degli Stati diventa “internazionalizzazione dell’impresa” oppure “esternalizzazione dei confini”. O, ancora, espressioni come “peacekeeping”, “missione di pace”, o più recentemente “assassinio mirato”, “caccia all’uomo militarizzata”, “diritto preventivo”, svolgono il vile tentativo di comporre giuridicamente e umanamente ciò che resta pur sempre disumano. Se è certo che cogliere l’essenza di un fatto è sempre stato un moto d’intuito e di spirito, tuttavia andare a fondo della melma retorica serve a far affiorare i contorni e le novità di tal fatti.

Il concetto di “sicurezza marittima”, ad esempio, o addirittura di “Mediterraneo allargato” (di provenienza Ministero della Difesa) devono per forza farsi strada nell’opinione pubblica, se più di metà delle merci scambiate dall’Italia viaggia via mare, se l’importazione di petrolio avviene per tre quarti via mare e quella di gas per il 45%. Senza la materializzazione di questi concetti, l’Italia sarebbe un paese a secco. E l’Europa anche, vista la necessità di proteggere i quattro gasdotti tra Africa e Europa, i cavi per le telecomunicazioni e i terminali per il gas naturale liquefatto. L’idea allora della “sicurezza cooperativa” non appare così campata in aria. A tal proposito: «Gli stati in un determinato contesto geografico sono dunque tanto legati che la loro sicurezza non è “separabile”» – asserisce la Teoria dei complessi regionali di sicurezza di Buzan e Weaver, riferita in un sito legato alla Difesa.

 

I contorni della legge

 

Lo Stato produce da sé gli strumenti (economici, giuridici e militari) della propria affermazione. Le istituzioni statali devono continuamente ammodernarsi ed affinarsi, stare al passo coi tempi, se vogliono continuare ad esercitare ed accrescere il loro potere. Non è un caso che siano sempre gli Stati ad organizzare gli stanziamenti più consistenti per portare le imprese nazionali all’estero. Ad esempio in Italia la normativa che sancisce le competenze della Cassa Depositi e Prestiti è di recente stata cambiata per permettere maggiore competitività alle imprese italiane in particolari regioni estere. La banca (CDP) è diventata l’istituzione che, per legge, media la “cooperazione internazionale”. Senza questa cornice giuridica sarebbe impossibile per le imprese rivolgere il proprio sguardo lontano dal paese di nascita. Ed è impossibile descrivere questo fenomeno dal solo punto di vista del libero mercato. L’istituto giuridico spiana la strada all’impresa, quello economico elargisce finanziamenti, quello militare protezione materiale (vedi il ruolo della Marina militare nelle operazioni antipirateria, dove le fregate diventano la scorta dei mercantili di bandiera): ogni cosa è pianificata e sostenuta dalla legge – e sarebbe impossibile senza di essa. Con questo sostegno soltanto le imprese hanno la possibilità di arricchirsi e lo Stato al contempo di irrobustirsi.

 

I contorni della guerra

 

Come potrebbe uno nascondersi da ciò che non tramonta mai?

 

Con le parole di Eraclito potremmo descrivere l’onnipresenza dei droni che sorvolano continuamente i villaggi del Pakistan e dell’Afghanistan e che hanno fatto più di tremila vittime negli ultimi anni (solo nel Pakistan, paese formalmente non in guerra), e la loro onnipotenza: il potere di radere al suolo senza preavviso e nella completa invisibilità.

A voler andare a fondo delle espressioni del tipo “operazioni di polizia internazionale”, si può rilevare l’essenza nuova della guerra. Gli Stati così detti avanzati hanno cercato principalmente nei nuovi strumenti tecnologici la vittoria del conflitto e la superiorità militare. Senza però considerare come l’uso delle nuove tecnologie, al di là dei successi meramente tattici e a breve termine, influenzasse la strategia di medio e lungo periodo dei suoi avversari. Gli attacchi ciechi dei droni statunitensi, al di là del raggiungimento degli obiettivi specifici, influiscono sul morale della popolazione bombardata (aumentando a dismisura la frustrazione verso un nemico invisibile e intangibile), sulla capacità di reclutamento degli insorti (radicalmente aumentata dopo le serie di bombardamenti), sulle nuove strategie degli insorti verso i pochi militari occupanti in carne ed ossa (unico riferimento materiale nel conflitto) e verso la popolazione degli occupanti (diventata il più facile obiettivo degli attacchi). In questo senso la genesi del kamikatze e del suo spirito è strettamente connessa alle nuove tecnologie di guerra, agli attacchi invisibili e indiscriminati.

Il drone, sostenuto e implementato soprattutto dal nobel per la pace Barack Obama, è diventato la figura cruciale delle guerre odierne, senza la cui analisi è impossibile comprendere gli sviluppi della guerra in generale, delle occupazioni militari e della politica estera delle maggiori potenze, e nemmeno l’offensiva di chi si vede quotidianamente attaccato.

La caratteristica dell’invulnerabilità di un aereo che comandato dal Nevada può produrre effetti devastanti in Pakistan o Afghanistan senza il pericolo di perdite tra le file dell’esercito statunitense, è stato l’elemento trainante per l’introduzione dei droni in tutti gli eserciti occidentali, avendo come effetto, tra le altre cose, il completo dissolvimento dell’etica guerriera che fino ad allora restava un caposaldo di guerre e guerriglie. Come dice un analista della Difesa: «Le moderne democrazie occidentali debbono fare i conti, oltre che con i bilanci, anche con un altro, fondamentale parametro: l’impatto dell’opinione pubblica – che in Occidente fruisce del flusso informativo garantito da stampa e televisioni libere e non sottoposte a censura – sull’accettabilità di un conflitto, sul prezzo umano e materiale da pagare e perfino sul micromanagement delle operazioni militari. Una delle preoccupazioni principali degli Stati Maggiori e dei governi è oggi quella di evitare la cattura di propri uomini da parte dell’avversario per scongiurarne un uso propagandistico e ricattatorio».

Se il potere, come nel caso dei droni, non si esercita più a partire da un territorio ben delimitato ma diventa il mondo intero nella “caccia al terrorista”, l’effetto diretto è anche l’erosione del concetto di occupazione militare: non più confini ben delimitati e pattugliamento ben visibile; piuttosto attacchi da distante e zone militarizzate sempre più ampie, anche giuridicamente, solo momentaneamente (le così dette kill box).

 

Statistica e industria

 

Ci sono idee, nella storia del pensiero, che hanno solcato così profondamente il mare degli eventi umani, che la traccia non può essere ignorata in tutti gli sviluppi della rotta futura. C’è un sottile filo rosso che congiunge l’analisi statistica quantitativa della sociologia novecentesca e gli algoritmi utilizzati per i bombardamenti dei droni. Nella pattern analysis (analisi del modello), mediante metodi statistici, viene rilevata la frequenza di un certo comportamento. Dalla frequenza si individua la norma. Dalla norma si individua l’anormalità. Individuato l’anormale, il deviante, si può procedere alla sua eliminazione (nel caso dei droni mediante un missile hellfire).

Al giorno d’oggi i satelliti militari o civili-militari svolgono la funzione essenziale della raccolta dati attraverso il rifornimento di immagini foto e video che riescono a tenere sotto controllo il comportamento della popolazione di intere città. Attraverso l’incrocio dei dati dei cellulari e dei contenuti dei social network, e delle immagini di droni e satelliti, è possibile dedurre, probabilisticamente, se i comportamenti di un tale soggetto rientrano nella norma o meno, e a seconda di ciò, farlo diventare un obiettivo. In questo senso le nuove metodologie militari sono principalmente poliziesche, mutuate dall'”antiterrorismo” (che si occupa dell’eliminazione del sovversivo, piuttosto che della conquista della popolazione per ottenere il successo militare, compito precipuo invece della controinsurrezione).

C’è chi si interroga anche su come migliorare il livello di attenzione degli umani operatori di UAV, rispetto all’infinità di informazioni che raccolgono e la velocità con cui debbono essere utilizzate: «Uno dei programmi di più ampia portata in questo settore è costituito dal MITUS (Multimodal Interface Toolkit for Uav Systems) cui lavorano, tra gli altri, i Boeing Phantom Works, il Massachusset Institute of Technology (MIT), la Thales, l’Office of Naval Research ecc.; i test compiuti su personale militare adibito al controllo di UV hanno dimostrato che una combinazione di immagini, audio continuo e sollecitazioni tattili è in grado di migliorare l’immedesimazione degli operatori, la loro capacità di “leggere” gli avvenimenti e, in definitiva, di aumentare le probabilità di successo(“Informazioni della Difesa” n. 5 – 2009)». Con ogni mezzo gli operatori della macchina devono adeguarsi alla macchina stessa.

In questa prospettiva “antiterroristica” lo strumento tecnologico è diventato il principale strumento trainante la guerra. La compressione dei tempi di analisi, di attacco e di eliminazione non può però non produrre effetti smisurati di reazione. Se non è possibile in risposta colpire gli armamenti e l’esercito invulnerabile, ogni manifestazione (anche solo culturale) dell’invasore diventa un obiettivo legittimo, senza andare tanto per il sottile. Un analista della difesa scrive: «Quello dello “Stato islamico” è un cambiamento di strategia, o meglio un adattamento pragmatico e realistico, logica conseguenza, da una parte, della situazione sul campo di battaglia convenzionale e, dall’altra parte, come applicazione delle indicazioni date da Abu Mohammad al-Adnani  – ucciso nell’agosto del 2016 da un attacco effettuato da un drone statunitense – che è stato il secondo più potente e influente leader dell’IS. Fu lui a suggerire, prevedendo gli sviluppi del conflitto e le conseguenze dell’offensiva della “Coalizione” internazionale, un cambiamento nell’approccio strategico: dal consolidamento territoriale dello “Stato islamico” all’espansione ideologica e “individuale” al di fuori dei suoi confini. Un approccio che può essere sintetizzato in tre “doppi pilastri operativi”: “nascondersi e pianificare, reclutare e addestrare, colpire e ispirare”». Se la tecnologia resta il soldato migliore e la sicurezza degli Stati europei non è ne separabile, nell’industria bellica si parla già di “cooperazione strutturata permanente”. In questo contesto, ad esempio, il “Piano europeo d’azione in materia di Difesa”, varato nel 2016, è un primo passo, all’interno del quale il programma dell’Eurodrone (Euro MALE 2020-25) sancisce la collaborazione di Germania, Francia, Italia e Spagna, per produrre e adottare nuovi velivoli.

 

Il terreno dello Stato

 

Se si prende in considerazione lo Stato secondo la definizione classica di “monopolio della violenza” (o forza legittima), occorre osservare alcune novità in tema di forza bruta e violenza:

– territori particolarmente ostili (interni o esterni ai confini di Stato)  inducono l’utilizzo di un surplus di tecnologia bellica;

– queste tecniche non curano, anzi aumentano, l’ostilità;

– la violenza non è coercitiva in senso stretto (nella sociologia classica il potere si distingueva tra autorità ‒ disponibilità all’obbedienza ‒ e coercizione ‒ utilizzo della forza bruta ‒, con cui un soggetto riusciva ad ottenere qualcosa da qualcuno. Oggi la violenza statale non mira ad ottenere qualcosa da qualcuno con un comando (non ordina), ma solo la docilità mediante il terrore.

Ciò non significa però che il paradigma qualitativo della guerra sia andato definitivamente perduto. Il paradigma della “cooperazione e della comprensione” marcia di pari passo con quello dei tecnici bellici. Non è un caso che le truppe CIMIC (civili-militari) siano imprescindibili per tutte le nuove occupazioni. L’elemento umano resta ancora inderogabile. Oggi infatti la Difesa italiana parla di “contro-terrorismo” per indicare tutte quelle attività strettamente militari e di intelligence volte a stroncare la possibilità di insurrezione sia in territorio nazionale, sia in territori dipendenti o interessanti per lo Stato.

La guerra de-umanizzata, colpendo esseri umani e non macchine, ha ancora bisogno di servitori in carne ed ossa.


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