La guerra e l’uomo

Tratto da finimondo.org

 

La guerra e l’uomo

Octave Mirbeau
Un uomo ne uccide un altro per prendergli la borsa; viene arrestato, imprigionato, condannato a morte e muore ignominiosamente, maledetto dalla folla, la testa mozzata sull’orrenda piattaforma. Un popolo ne massacra un altro per rubargli i campi, le case, le ricchezze, i costumi; viene acclamato, le città si pavoneggiano per riceverlo quando ritorna coperto di sangue e di bottino, i poeti lo cantano in versi inebriati, le musiche lo festeggiano; ci sono cortei di uomini con bandiere e fanfare, cortei di ragazze con ramoscelli d’oro e mazzi di fiori che lo accompagnano, lo salutano come se avesse appena compiuto un’opera di vita e un’opera d’amore. A coloro che hanno ucciso di più, saccheggiato di più, bruciato di più, vengono conferiti titoli roboanti, gloriosi onori che devono perpetuare il loro nome attraverso i secoli. Viene detto al presente, al futuro: «tu onorerai questo eroe, perché da solo ha fatto più cadaveri di mille assassini». E mentre il corpo dell’oscuro assassino marcisce, decapitato, nelle sepolture infami, l’immagine di chi ha ucciso trentamila uomini viene eretta, venerata, in mezzo alle pubbliche piazze, oppure giace al riparo delle cattedrali, in tombe di marmo benedetto custodite da santi e angeli. Tutto ciò che gli apparteneva diventa una sacra reliquia e si va in massa nei musei, come in un pellegrinaggio per ammirare la sua spada, il cumulo delle sue armi, la sua cotta di maglia, il pennacchio del suo elmo, col rimpianto di non intravedere gli schizzi di sangue degli antichi massacri.
— Ma io non voglio uccidere, tu dici, non voglio distruggere nulla di ciò che vive.
Cosa! non vuoi uccidere, miserabile? Allora la legge ti strapperà dalla tua casa, ti butterà in una caserma e ti insegnerà come uccidere, incendiare, saccheggiare! E se resisti al compito sanguinario, verrai inchiodato al palo con dodici pallottole nel ventre, o lasciato a marcire come una carogna nei silos d’Africa.
La guerra è una cieca brutalità. Si dice: «La scienza della guerra». Non è vero. Per quanto abbia le sue scuole, i suoi ministeri, i suoi grandi uomini, la guerra non è una scienza; è un caso. La vittoria, per lo più, non dipende né dal coraggio dei soldati, né dal genio dei generali, ma dipende da un uomo, da una compagnia, da un reggimento che grida «Avanti!», così come la sconfitta dipende da un reggimento, da una compagnia, da un solo uomo che, senza ragione, avrà lanciato il grido: «Si salvi chi può!». Che ne è dei piani degli strateghi, delle combinazioni degli stati-maggiori, davanti a questa forza più forte del cannone, più imprevista del segreto delle tattiche nemiche: l’impressione di una folla, la sua mobilità, il suo nervosismo, i suoi entusiasmi improvvisi o il suo panico? La maggior parte delle battaglie sono state vinte grazie ad errori fortuiti, ad ordini non eseguiti; sono state sconfitte dalla testardaggine nell’attuazione di mirabili piani infallibili.
Eroismo e genio non si trovano nel fragore dei campi di battaglia; sono nella vita ordinaria. Non è affatto difficile farsi bucare il petto, in mezzo a proiettili che piovono e granate che scoppiano; è difficile vivere, in modo equo e giusto, tra gli odi, le ingiustizie, le tentazioni, le sproporzioni e le bassezze umane. Oh! un piccolo impiegato che lotta con costanza, in ogni momento, per procurare alla sua famiglia il magro cibo di tutti i giorni, come mi sembra più grande del più glorioso dei capitani che non conta più le battaglie vinte! E come preferisco contemplare un contadino che, con la schiena curva e le mani callose, spinge faticosamente l’aratro nel solco della madre terra, piuttosto che vedere una sfilata di generali con l’uniforme splendente e il petto coperto di croci! Il fatto è che il primo simboleggia tutti i sacrifici sconosciuti e tutte le oscure virtù della vita feconda, mentre gli altri mi ricordano solo le sterili tristezze e gli inutili lutti con cui hanno seminato il suolo delle patrie sconfitte.
Perché il Diritto e perché la Giustizia, se la Guerra è là, che comanda, la Guerra, negazione del Diritto, negazione della Giustizia? Che si depennino queste due parole dai linguaggi umani che non le capiscono, e che dall’insegna delle società contemporanee si strappino questi due emblemi che hanno sempre mentito.
L’Umanità
Non passerai, maledetta miserabile. Guarda dietro di te i sentieri che hai percorso; ovunque la notte, la disgrazia, la desolazione. I raccolti vengono distrutti, le città incendiate e nei campi devastati e nelle foreste abbattute marciscono mucchi di cadaveri sui quali si accanisce il corvo. Ogni tuo passo è segnato da una fossa in cui dormono per sempre i migliori figli degli uomini, e i granelli di sabbia delle strade, e i fili d’erba dei prati, e le foglie degli alberi sono meno numerosi delle tue vittime. Non passerai.
La Guerra
Passerò, vecchia farneticante, e i tuoi sentimentalismi non mi fermeranno. Tutta la terra deve essere illuminata dal mio sole di sangue e deve bere, fino all’ultima goccia, l’amara rugiada delle lacrime che ho fatto versare. Spingerò su di essa il petto fumante dei miei cavalli e la frantumerò sotto le ruote dei miei carri. Finché esisteranno non solo due popoli, ma due uomini, brandirò la mia spada, soffierò nelle mie trombe, e loro si uccideranno a vicenda. E il mio corvo ingrasserà nelle fosse comuni.
L’Umanità
Non sei stanca di uccidere sempre, di marciare sempre nel fango insanguinato, attraverso le lamentele e il fumo rosso dei cannoni? Non puoi riposare e sorridere? Non puoi, per un attimo, rinfrescarti all’aria aperta i polmoni bruciati dalla polvere, alle sorgenti che cantano sotto i rampicanti la tua gola alterata dalle grida? Guarda le contrade che custodisco; sono magnifiche. La vita pulsa nelle loro arterie, fiorisce sui loro volti rubicondi di salute, le cinge con prati verdi, raccolti dorati, pampini gioiosi; e felicità e ricchezza, in perpetuo, fuoriescono dai germi sbocciati. L’uomo vi lavora nella pace, vi canta nell’amore, vi cresce nella preghiera, e tutto prega, ama, lavora attorno a lui. Getta la tua spada, prendi l’aratro trascinato nei buoni solchi dai buoi pensierosi e rassegnati; invece delle fanfare delle tue trombe che suggeriscono all’uomo ebbrezze omicide, invece delle urla selvagge che invocano la morte, ascolta di sera, sul pendio delle colline, il suono degli zufoli, i campanacci delle pecore, il dolce canticchiare dei pastori; ascolta, nelle grandi pianure che si risvegliano, l’allodola che saluta con le sue canzoni il lavoro, la pace, l’amore.
La Guerra
Basta retorica, vecchia sciocca! Non so che farmene dei tuoi lamenti. Tieniti la tua allodola, la tua pelle di pecora e il tuo flauto virgiliano. Io conosco gli uomini e gli uomini mi conoscono. Ho fatto cadere i troni, rovesciato gli altari, e di tutti i sovrani caduti e di tutti gli dèi erranti, solo io sono rimasta in piedi. Sono la divinità necessaria, implacabile, eterna. Sono nata con il mondo, e il mondo morirà con me.
L’Umanità
Tu menti.
La Guerra
Io mento! Ma guardati attorno e ascolta. Vedi tutti quegli uomini curvi, che sgobbano, vacillano, e muoiono schiacciati da fatiche sempre uguali? A che servono quelle miniere, quelle fucine, quelle fabbriche, quelle fusioni ribollenti, se non ai miei cannoni, ai miei fucili e ai miei obici? A che servono le navi che solcano mari e sfidano tempeste? Queste praterie dove s’ingrassano i miei cavalli, questi alberi con cui si taglieranno i telai dei miei carri e le barelle delle mie ambulanze? Perché si dà oro ai ministri e galloni ai generali? Per chi si strappano dalle case le giovani braccia ed i cuori vigorosi? Vedi quei vecchi scienziati, chini su cifre, su piani, su polveri bianche, perché distillano la morte? Ho più templi di Dio; conta le fortezze, i bastioni, le caserme, gli arsenali, tutti i macabri cantieri in cui si prepara l’omicidio come fosse un trastullo, dove si intaglia la distruzione come un mobile pregiato. È verso di me che tendono tutti gli sforzi umani; è per me che si esaurisce il midollo di tutte le patrie. L’industria, la scienza, l’arte, la poesia diventano mie ardenti complici per rendermi più sanguinaria e più mostruosa. I miei trofei adornano le cattedrali e tutti i popoli in ginocchio davanti alla mia immagine hanno intonato il Te Deum e la Marsigliese. Oggi la primavera sorride, la natura si agghinda come per una dolce festa; i profumi si sprigionano dalla terra rinnovata e i colori più brillanti scoccano sui rami, adornando campi e foreste. Cosa senti? Canzoni d’amore? No. Fremiti di rabbia, tintinnio di sciabole, squilli di tromba, ed eserciti in marcia, e cannoni che rotolano, e la terra che trema sotto il passo dei cavalli e il calcio dei fucili.
L’Umanità
Ah! sei stata bella, a volte, e a volte sublime, lo so. Sei stata tu ad aver creato la patria, e tu ad aver liberato i popoli. Il tuo corvo, che si ubriaca col sangue degli eroi, si è spesso trasformato in gallo per svegliare col suo canto le indipendenze abbrutite e le nazioni oppresse. Ma oggi, è per questa sacra causa che mieterai ancora uomini e smuoverai lutti sulla terra? Restituirai ai poveri indù le loro risaie saccheggiate, le loro pagode distrutte? Darai loro il sale di cui sono privi ​​e di cui hanno bisogno quanto l’aria che respirano? Li renderai liberi, quei martiri che gemono sotto il giogo straniero, e che hanno visto le loro pianure trasformate in mattatoi, in campi di tortura, e che ancora piangono i loro principi assassinati sui gradini del loro palazzi? Allora fa pure, ed io ti benedico. Ma se è per imporre loro nuovi padroni, se è perché il loro sangue, i loro beni, la loro terra fertile, vadano ad ingrassare il russo come ingrassano l’inglese, io ti maledico.
La Guerra
La tua benedizione mi importa poco quanto la tua maledizione. Rido dell’una come dell’altra. Che io liberi o assoggetti, ciò mi imbarazza poco davvero, e il sentimento non mi appartiene affatto. Voglio divertirmi, ecco tutto, e l’occasione mi sembra buona. È da troppo tempo che non arrosso il Gange, le cui acque fangose ​​mi ripugnano, e voglio dare alle belle valli degli indù il loro consueto rifornimento di cadaveri. Andiamo, vecchia strega, spostati e fammi passare. Il mio cavallo si spazientisce ad ascoltare le tue sciocchezze, e le assurdità dei tuoi discorsi mi fanno pena.
L’Umanità 
Non passerai. Non vedi, cieca criminale, che tutti ti maledicono e che non esiste un uomo che non si allontani da te?
La Guerra 
Mi fai ridere, davvero! Ma voglio convincerti. Ascolta quindi ciò che gli uomini mi diranno.
Il Contadino
Salute a te, Guerra. Sei dolce e ti amo. Il mio granaio è pieno di grano; grazie a te, lo venderò a più caro prezzo. Guadagnerò sui miei cavalli e mi disferò dei miei buoi. Tu sei la mia provvidenza.
Il Banchiere 
Farò prestiti; e speculerò sulle cattive notizie, oltre che su quelle buone. Guerra, io ti saluto.
La Famiglia 
Ti benedico, buona Guerra. I miei fratelli, i miei cugini sono nell’esercito. Non torneranno, e la mia parte d’eredità sarà più grassa.
Il Commerciante 
Ero sull’orlo del fallimento. Ma arrivi tu. Ho nei miei negozi dei teli danneggiati, del tessuto putrido, del cuoio di cartone, sei la benvenuta!
L’Industriale
Era necessario spegnere le mie macchine e lasciare che i miei attrezzi si arrugginissero? Tu mi salvi dalla rovina, Guerra protettrice. Darò una dote alle mie figlie e ne farò donne da marchese.
L’Artista 
Colerò in bronzo i tuoi eroi caduti.
Il Poeta 
Renderò immortali le tue ecatombi coi miei versi.
Il Borghese
Mi annoiavo. Occuperai le mie serate invernali e le mie lunghe ore d’ozio. Coi piedi al caldo, affondato in una confortevole poltrona, palpiterò ai tuoi racconti e seguirò, su una mappa appuntata con spilli e bandierine, il tuo passaggio attraverso paesi sconosciuti.
Il Generale 
Tornerò forse da Imperatore, sulle ali della vittoria. E a te dovrò la corona.
L’Ufficiale 
Ricamerai d’oro il mio berretto; ci cucirai sopra la foglia di quercia.
Il Soldato 
Mi toglierai lo zaino così pesante, il cappotto che mi rende così goffo e mi tenderai la spada.
Il Pervertito
Ci sono belle donne laggiù, ed io le prenderò.
Il Ladro 
Ci sono bei palazzi laggiù, ed io li saccheggerò.
Il Disperato 
Mi porterai la morte, ed io ti benedirò.
La Guerra
E allora! Hai sentito? E pretendi sempre di metterti di traverso sulla mia strada? Lascia che io compia la mia opera ed unisciti a tutte queste brave persone.
(L’Umanità nasconde il volto e piange in silenzio)

 


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