Tratto da finimondo.org
Una progettualità per far fronte alla guerra (e alla pace)
Sulla necessità di bussole
Troppo spesso pensiamo alle nostre idee come a pilastri conficcati in un terreno inamovibile. Ma il terreno il più delle volte è solido solo in apparenza. Basta che cambino le condizioni, che la terra diventi melmosa o che l’acqua salga, perché il terreno solido si riveli mobile e i nostri amati pilastri si affloscino come castelli di carta. A quel punto il panico ci assale, e noi cominciamo a correre da un’alleanza indigesta ad un’altra ancora più improbabile, mentre i nostri concetti che reputavamo tanto solidi si fanno gelatinosi, trasformandosi in pasta da modellare, e in poco tempo anche noi diventiamo ciò di cui abbiamo sempre avuto orrore: semplici pedine su una scacchiera che non comprendiamo. È successo a numerosi anarchici quando è scoppiata la Prima Guerra mondiale, è successo agli anarchici spagnoli trascinati da una situazione rivoluzionaria ad una guerra in piena regola, è successo a tantissimi rivoluzionari coinvolti nei giochi geopolitici della Guerra Fredda, e succederà lo stesso anche domani.
Allora, piuttosto che pilastri in un terreno per nulla stabile, consideriamo le nostre idee come bussole che ci consentano di orientarci. Da anarchici, lottiamo contro ogni potere, sia esso sanguinario o tollerante, democratico o dittatoriale, senza cercare di associarci a nessuna delle parti di un potere contro un altro. Una barricata ha solo due lati, e quando non è la nostra non c’è un lato dove possiamo stare. Ecco perché è fondamentale disporre di queste bussole-idee, e anche approfondirle, perché è proprio in situazioni particolarmente tese che occorre utilizzarle. Certamente è più facile rifiutare ogni rapporto con gli autoritari quando la morte o la prigione non sono in agguato (per quanto gli opportunisti non lo disdegnino affatto), piuttosto che rifiutare in una situazione di guerra un’alleanza militare con un esercito quando le persone cadono attorno a noi sotto le bombe di un’aviazione spietata. Una situazione di guerra può mettere il nostro anarchismo a dura prova, e proprio come tanti compagni (spesso minoritari) non hanno rinunciato né alla propria etica né alle proprie idee nelle peggiori condizioni, è necessario oggi ricominciare ad approfondire quello che è il nostro anarchismo, se non vogliamo ritrovarci a naufragare… molto presto.
Sulla necessità di carte
Se le nostre bussole-idee possono indicarci la direzione da prendere e soprattutto gli errori da evitare, non ci consentono tuttavia di discernere i contorni degli ostacoli da affrontare. Questa è la dimensione dell’analisi. Se già questo compito dovrebbe essere una costante di qualsiasi nemico dell’autorità, diventa ancora più cruciale se vogliamo anche essere capaci di batterci in uno scenario di guerra. Ciò implica per esempio fin d’ora di mappare accuratamente le industrie militari e le aziende tecnologiche, ma anche tutto ciò che attiene al buon funzionamento operativo del dominio: reti di comunicazione, assi di trasporto, risorse e reti energetiche, riserve strategiche di materie prime e di approvvigionamenti. Non in modo approssimativo, ma dettagliato e lungimirante.
Sulla necessità di informazioni
Acquisire informazioni è un concetto che logicamente può dare fastidio, in quanto fa pensare alla schedatura generalizzata che gli Stati sono riusciti a mettere in atto, ma noi pensiamo in ogni caso che sia non solo necessario avere quante più informazioni possibili sul funzionamento degli organi repressivi (che in una situazione di guerra mostreranno i loro denti ben più aguzzi che in tempi «normali»), ma anche conoscere la loro gerarchia. Infatti ci sono molte possibilità che il commissario capo di polizia o il colonnello della gendarmeria di oggi saranno, per esempio, anche quelli di domani. Su un altro piano, sarebbe ovviamente necessario dotarsi di capacità di comunicazione difficilmente accessibili dal nemico, ma prepararsi anche alla disgraziata eventualità di sequestri a sorpresa, interrogatori feroci e detenzioni speciali, così come all’ampia gamma di mezzi di cui dispone lo Stato per condurre una guerra sporca contro i refrattari (confidenti, infiltrati, pressione sui parenti, manipolazioni…). Prepararsi a questo è certamente un compito difficile, ma in tempi di guerra esservi un minimo pronti sarà sempre meglio di niente (sapendo che l’importanza di tali contromisure statali è già troppo poco presa sul serio, se non trascurata, nel presente).
Sulla necessità di strumenti e di conoscenze
Sapere dove è situata l’antenna militare è una cosa, saper metterla fuori uso è un’altra. Molte conoscenze, da come confezionare il materiale che serve per il sabotaggio alle modalità per spostarsi, si rivelano indispensabili. La buona volontà è un inizio, ma non basta. Occorre sviluppare capacità tecniche e conoscenze precise, proiettandole in una situazione che potrebbe essere molto diversa da quella che conosciamo oggi. Certi strumenti scarseggiano in uno scenario di guerra, altri diventano improvvisamente più facili da reperire: per non lasciar dipendere tutto dal caso, occorre prepararsi.
Sulla necessità di coordinarsi
Pur restando in una dimensione informale, il coordinamento tra individui, gruppi di affinità e altre costellazioni autonome è indispensabile, sia per la raccolta di informazioni, la messa a disposizione di mezzi, la logistica e il supporto, la condivisione di notizie, l’elaborazione di strumenti di contro-informazione e di agitazione, che per i progetti di attacco. Da qui la necessità di riflettere fin d’ora su quali forme potrebbero assumere simili coordinamenti e come possono essere praticabili anche in situazioni in cui potrebbe essere meno ovvio ritrovarsi in più persone (cioè in più di qualcuno). Ovviamente tali coordinamenti devono essere anti-autoritari, agili, partendo dall’autonomia di ogni individuo e di ogni gruppo che vi partecipa.
Sulla necessità di prospettive
Tutto questo, perché? Verso quale scopo, in quale prospettiva? Se lo scoppio di un’insurrezione rivoluzionaria costituisce la prospettiva, i percorsi per arrivarvi sono molteplici, e dipendono anche da particolari contesti. Una situazione che sprofonda nella guerra civile a seguito di una carestia di massa, di un disastro ambientale, o anche di odi identitari è una cosa, uno Stato che prepara un intervento militare altrove è un’altra. Eppure, alla base, pensiamo che i sabotaggi diffusi contro ciò che rende possibile la guerra e il controllo, contro ciò che fornisce l’energia allo Stato, potrebbero costituire il primo passo. Permetterebbero non solo di agire immediatamente e coerentemente, ma anche di accendere, per quanto piccola sia, una scintilla nelle tenebre, possibile punto di riferimento per altri, aprendo un campo per il coordinamento e l’approfondimento organizzativo. Prendere l’iniziativa è il primo passo per disorganizzare i piani del nemico, molto meno agili di quanto potrebbero essere i nostri.
Se la guerra, questa «organizzazione della potenza», è costitutiva di ogni Stato; se le diverse forme di cui si serve sono quindi animate da una medesima logica di dominio; se i massacri delle operazioni militari propriamente dette e la repressione, lo sfruttamento capitalista e l’abbrutimento messi in atto dal potere, sono i due lati della stessa medaglia dell’ordine del mondo, le tracce e i suggerimenti qui evocati possono non solo figurare nel diario di bordo di chi si troverà immerso in un sanguinoso conflitto, ma servire anche solo a sviluppare una semplice progettualità anarchica.
Non sfuggirà nemmeno ai ciechi più ostinati che gli strumenti di repressione, di controllo e di fabbricazione del consenso stanno crescendo di pari passo col numero di regioni del mondo coinvolte in nuove guerre: si tratta della stessa ristrutturazione in corso del dominio, che tocca l’insieme degli aspetti della società che conosciamo. Questo è ciò cui bisogna far fronte, ed è a questo che potrebbero servire le poche note di questo diario di bordo.
[Avis de Tempêtes, n. 4, 15 aprile 2018]