Dietro il progresso, la guerra

Tratto da finimondo.org
Lewis Mumford
Mentre l’arte del vasaio, la costruzione dei canestri, la vinificazione, la coltivazione dei cereali hanno mostrato solo progressi superficiali dall’età neolitica in poi, il progresso degli strumenti di guerra è stato costante. Il sistema dei tre campi si trascinò nell’agricoltura inglese fino al diciottesimo secolo, e gli attrezzi usati nelle più lontane regioni dell’Inghilterra avrebbero fatto ridere un agricoltore romano: ma il goffo contadino con la sua asta ferrata od il suo randello di legno era stato sostituito dall’arciere, dall’alabardiere, ed essi a loro volta avevano lasciato il posto al moschettiere ed il moschettiere si era cambiato in un perfetto fante munito di armi automatiche, ed il moschetto stesso era diventato più micidiale nel combattimento corpo a corpo grazie alla baionetta, e la baionetta a sua volta era diventata più efficace grazie alla tattica di massa, ed infine tutte le altre armi dell’esercito erano state progressivamente coordinate con l’arma più funesta e decisiva: l’artiglieria. Un trionfo del progresso meccanico, un trionfo dell’irreggimentazione. Se l’invenzione dell’orologio meccanico annunciò il nuovo desiderio di ordine, l’uso del cannone nel quattordicesimo secolo allargò quello di potenza; la macchina, quale la conosciamo, rappresenta la convergenza e la realizzazione sistematica di questi due primi elementi.
L’irreggimentazione della moderna arte militare portò molto più lontano che l’effettiva disciplina dell’esercito stesso. L’ordine passa di fila in fila; questo passaggio verrebbe impedito se, invece di incontrare un’obbedienza meccanica, esso incontrasse una forma di adattamento più attiva e comprensiva, del come e del perché, del dove e del per chi: i comandanti dei sedicesimo secolo scoprirono che l’efficacia del combattimento di massa aumentava man mano che il soldato veniva ridotto ad una macchina ed abituato a muoversi come automa. L’arma, anche quando non viene usata per dare la morte, è sempre un mezzo per imporre un modello di comportamento umano che non verrebbe accettato se l’alternativa non fosse la mutilazione fisica o la morte: è, insomma, un mezzo per creare una risposta disumana nel nemico o nella vittima.
La generale diffusione dei modi di pensare soldateschi nel diciassettesimo secolo fu, sembra probabile, un grande aiuto psicologico alla diffusione dell’industria meccanica. Confrontato con le caserme, il lavoro delle fabbriche sembra tollerabile e naturale. L’aumento della coscrizione e del servizio militare volontario nel mondo occidentale dopo la rivoluzione francese rese l’esercito e la fabbrica, per quanto riguardava i loro effetti sociali, fattori quasi intercambiabili. E le compiaciute notazioni sulla prima guerra mondiale, che cioè essa fu un’operamene industriale su vasta scala, ha anche un opposto significato: il moderno industrialismo può a buon diritto venire definito come un’operazione bellica su grande scala.
Osserviamo l’enorme aumento dell’esercito come unità di forza: la potenza si è moltiplicata con uso delle bocche da fuoco e dei cannoni, con l’aumento del loro calibro e della gettata, con aumento del numero di uomini messi in campo. Il primo cannone gigante di cui si abbia notizia apparve in Austria nel 1404: aveva una canna lunga oltre tre metri e mezzo e pesava più di 4.500 chilogrammi. Non solo la grande industria si sviluppò per corrispondere alle necessità belliche molto tempo prima di potere offrire un contributo di qualche importanza alle arti di pace, ma la valutazione quantitativa della vita e la concentrazione sulla potenza come fine a se stessa procedettero tanto rapidamente in questo campo quanto nel commercio. Dietro tutto questo vi era un disprezzo crescente per la vita, per la vita nella sua varietà, nella sua individualità, nel suo sviluppo e nella sua esuberanza naturali. All’aumento dell’efficienza delle armi, seguì parallelamente un crescente senso di superiorità nel soldato stesso; la sua forza, la sua capacità di dare la morte erano state esaltate dal progresso tecnico. Solo tirando il grilletto, egli poteva annichilire il nemico: questo era un trionfo della magia naturale.
La guerra e le invenzioni
Entro il dominio dell’arte bellica non vi è stata mai nessuna limitazione alle invenzioni mortali salvo che quelle prodotte dal letargo e dalla pigrizia: nessun limite alle invenzioni in se stesse.
Gli ideali di umanità derivano, per così dire, da altre parti dell’ambiente: il pastore od il carovaniere che vagano sotto le stelle — un Mosé, un David, un San Paolo — l’uomo di città, che osserva da vicino le condizioni nelle quali gli uomini possono vivere bene insieme — un Confucio, un Socrate, un Gesù — portano nella società i concetti di pace e di cooperazione amichevole come espressione morale più elevata della sottomissione ad un altro uomo. Spesso questo sentimento, come in San Francesco e nei saggi Hindu, si estende all’intero mondo delle creature viventi. Lutero, è vero, era il figlio di un minatore, ma la sua vita prova quanto stiamo dicendo, piuttosto che contraddirlo: egli si pose attivamente dalla parte dei cavalieri e dei soldati quando questi abbatterono ferocemente i poveri contadini che avevano osato sfidarli.
Se si eccettuano le selvagge invasioni dei Tartari, degli Unni, degli Arabi, la dottrina del potere illimitato divenne praticamente incontrastata quando la cultura della macchina si fece dominante. Per quanto Leonardo abbia sprecato molto del suo tempo prezioso nel servire dei principi guerrieri e nel progettare nuove macchine da guerra, pure egli fu abbastanza sotto l’influenza degli ideali umani, per volgere la sua attività ad altro. Egli volle distruggere l’invenzione della nave sottomarina, perché pensava, come spiegò nei suoi appunti, che era cosa troppo satanica per venire posta nelle mani degli uomini non redenti dalla grazia. Ad una ad una le invenzioni delle macchine e la crescente fede nella potenza astratta allontanarono questi scrupoli, tolsero queste salvaguardie. Anche la cavalleria scomparve in questa lotta ineguale, ed il trionfale massacro dei barbari pressoché inermi che gli Europei incontrarono nell’America post-colombiana si ripeté su tutto il pianeta.
Quanto si deve risalire nel tempo per dimostrare che la guerra è stata forse la prima fra le cause di diffusione della macchina? Occorre arrivare alla freccia o alla pallottola avvelenata? Essa precedette i gas asfissianti: pur non essendo il gas asfissiante in sé un prodotto della miniera, pure lo sviluppo delle maschere per difendersene ebbe luogo nelle miniere, prima che esse si diffondessero sui campi dì battaglia. Dobbiamo risalire al carro munito di falci che, girando ad ogni suo movimento, abbattevano i fanti? Questo carro fu il predecessore del moderno carro armato, mentre il carro armato stesso, spinto dalla forza delle braccia dell’equipaggio, fu progettato già nel 1558 da un tedesco. Dobbiamo risalire all’uso del petrolio infiammato e del fuoco greco, che venne usato per la prima volta precedentemente all’èra cristiana? Esso era l’embrione del più moderno e più efficace lanciafiamme della guerra moderna, oppure delle moderne bombe incendiarie a base di idrocarburi sganciate per incenerire le città del Giappone. Dobbiamo ricordare la prima macchina che lanciava pietre e giavellotti, che fu inventata, sembra, sotto Dionigi di Siracusa, ed usata da lui nella sua spedizione contro i Cartaginesi nel 397 avanti Cristo? Ai tempi dei Romani le catapulte potevano gettare pietre di circa trenta chili, ad una distanza di 400 o 500 metri, mentre le balestre, che erano enormi archi di legno, nel lanciare pietre, erano precise a distanze anche maggiori: con questi strumenti di precisione il mondo romano era più vicino al mondo della macchina che non con i suoi acquedotti o con i suoi bagni. Gli spadari di Damasco, di Toledo, di Milano, erano noti sia per la loro perfetta tecnica metallurgica che per la loro abilità nel costruire armi: predecessori di Krupp e di Creusot. Anche l’utilizzazione delle scienze fisiche per la guerra fu un progresso immediato: Archimede, dice la storia, concentrò con gli specchi i raggi del sole sulle vele della flotta nemica a Siracusa, ed incendiò le navi. Ctesibio, uno dei primi scienziati di Alessandria, inventò un cannone a vapore, un altro ne progettò Leonardo. E quando il padre gesuita Francesco Lana-Terzi nel 1670 disegnò un pallone dirigibile a sfere vuote, ne sottolineò l’utilità bellica. Insomma, la collaborazione tra il soldato, il minatore, lo scienziato e il tecnico è antica. Il considerare gli orrori della guerra moderna come il risultato accidentale di uno sviluppo tecnico fondamentalmente innocente e pacifico, significa dimenticare i fatti basilari della storia della macchina.
Nello sviluppo delle arti militari il soldato ha naturalmente attinto liberamente dalle altre branche della tecnica: le unità più mobili, la cavalleria e la flotta, vengono rispettivamente dalla pastorizia e dalla pesca; la guerra di posizione, dalle trincee del Castro Romano alle enormi fortificazioni in muratura delle città, è un prodotto del contadino (il soldato romano, ricordiamolo, conquistava tanto con la spada quanto con la vanga) mentre le macchine da assedio in legno: l’ariete, la balestra, la scala d’assedio, la torre mobile, la catapulta, portano tutte il marchio evidente del boscaiolo. Ma il fatto più importante nell’arte militare moderna è il continuo aumento della meccanizzazione dal quattordicesimo secolo in poi: il militarismo accelerò il passo ed aprì un ampio varco  allo sviluppo della moderna industria standardizzata.
Per ricapitolare: il primo grande progresso si ebbe con l’introduzione della polvere da sparo nell’Europa occidentale, dopo che già era stata usata in Oriente. Al principio del quattordicesimo secolo comparve il primo cannone e poi, assai più tardi, le prime armi da fuoco portatili, il moschetto e la pistola. Presto sulla linea di questo sviluppo si pensò al tiro multiplo; e vennero inventari il cannone a più canne e la mitragliatrice.
L’effetto delle armi da fuoco sulla tecnica fu multiforme; per cominciare, esse richiedevano l’uso del ferro su vasta scala, sia per i cannoni che per i proiettili. Mentre la produzione di armature sempre più elaborate richiedeva l’abilità dell’artigiano, la moltiplicazione dei cannoni richiese la fabbricazione sociale su una scala assai più grande: i metodi di lavorazione antichi non erano più adeguati. A causa della distruzione delle foreste dal diciassettesimo secolo in poi si sperimentò in forni di ferro l’uso del carbone e quando, un secolo più tardi, il problema fu finalmente risolto da Abraham Darby in Inghilterra, il carbone divenne elemento fondamentale sia per la potenza militare che per la nuova potenza industriale. In Francia le prime forge non furono costruite che nel 1550 ed alla fine dei secolo la Francia aveva tredici fonderie, tutte destinate alla costruzione di cannoni, mentre i soli altri prodotti importanti erano le falci.
Inoltre, il cannone fu il punto di partenza di un nuovo tipo di generatore di energia; fu, da un punto di vista meccanico, un motore a combustione in cilindro, il primo modello dei moderni motori a benzina, tanto che alcuni dei primi esperimenti sull’uso di miscele esplosive nei motori tentarono di impiegare la polvere da sparo in luogo di combustibile liquido. Data la precisione e l’efficacia dei nuovi proiettili, queste macchine ebbero anche un’altra conseguenza: provocarono lo sviluppo dell’arte delle fortificazioni campali, con opere complesse, fossati e bastioni, questi ultimi sistemati in modo che ogni saliente potesse essere difeso da un altro con fuoco incrociato. Il lavoro di difesa divenne sempre più complicato, man mano che l’offesa diventava più pericolosa, la costruzione di strade, canali, ponti di barche o in muratura divenne necessario complemento dell’arte militare. Leonardo, ad esempio, offerse i suoi servigi al duca di Milano non solo per disegnare macchine belliche, ma anche per dirigere tutte queste opere di ingegneria. In breve, la guerra introdusse un nuovo tipo di capo d’industria, che non era né un fabbro, né un muratore, né un artigiano, e cioè l’ingegnere militare. Nel corso della guerra, l’ingegnere militare riuniva al tempo stesso le attività dell’ingegnere civile, meccanico e minerario: tutti incarichi che non cominciarono a differenziarsi completamente che nel diciottesimo secolo. La macchina deve tanto agli ingegneri militari italiani dal quindicesimo secolo in poi quanto deve ai geniali inventori inglesi del periodo di James Watt.
Nel diciassettesimo secolo, grazie all’abilità del grande Vauban, le arti militari dell’offesa e della difesa avevano quasi raggiunto un punto morto: i forti di Vauban furono inespugnabili con qualsiasi forma di attacco, salvo che con quella che egli stesso infine studiò. Come attaccare quelle solide masse ai pietra? L’artiglieria era di limitata utilità, dato che agiva da entrambe le parti: la sola via aperta era quella di chiamare il minatore, il cui compito è di vincere la pietra. Secondo i consigli di Vauban nel 1671 vennero creati reparti di ingegneri, chiamati zappatori, e due anni dopo fu arruolata la prima compagnia di minatori. Il punto morto era stato superato: la guerra aperta era di nuovo necessaria e possibile, e fu con l’invenzione della baionetta, che avvenne tra il 1680 ed il 1700, che venne ridata a quest’arte la raffinata intimità dell’omicidio personale.
Se il cannone fu il primo dei moderni stratagemmi per superare lo spazio, grazie ai quali l’uomo era in grado di esprimersi a distanza, il telegrafo semaforico (usato per la prima volta in guerra) fu forse il secondo: alla fine del diciottesimo secolo era stata installata in Francia una rete efficiente, e ne venne progettata un’altra simile per il servizio delle ferrovie americane, prima che Morse inventasse molto opportunamente il telegrafo elettrico. Fu la guerra, piuttosto che il commercio o l’industria, che mostrò nelle sue linee generali le caratteristiche principali che avrebbe assunto la macchina nei vari stadi del suo sviluppo. I rilievi topografici, l’uso delle carte, il piano di battaglia — molto tempo prima che gli uomini d’affari immaginassero il piano organizzativo e i diagrammi di vendita — il coordinamento del trasporto, del rifornimento e della produzione (cioè, mutilazioni e distruzioni), la divisione dei compiti tra cavalleria, fanteria e artiglieria e la divisione del processo di produzione entro ciascuno di questi settori, infine la distinzione di funzioni tra lo stato maggiore ed il comando di campo, tutte queste caratteristiche pongono l’arte della guerra molto più avanti dell’artigianato e del commercio basato sulla concorrenza, con i loro miopi metodi di preparazione e di lavoro empirici e meschini. L’esercito è in effetti la forma ideale verso cui deve tendere un sistema industriale puramente meccanico. Gli scrittori utopistici del diciannovesimo secolo come Bellamy e Cabet, che accettarono questo postulato, erano più realisti degli uomini d’affari che arricciavano il naso davanti al loro «idealismo». Ma si può forse dubitare che i risultati siano stati veramente ideali.
La produzione militare in serie
Nel diciassettesimo secolo, prima che il ferro fosse entrato nell’uso su larga scala in qualche altro campo industriale, Colbert aveva creato fabbriche d’armi in Francia, Gustavo Adolfo aveva fatto la stessa cosa in Svezia, ed in Russia già ai tempi di Pietro il Grande vi erano 683 operai in una sola fabbrica. Si potevano trovare esempi isolati di laboratori e fabbriche su vasta scala, anche prima di quella famosa fabbrica di Jack of Newbury in Inghilterra, ma le più notevoli erano le fabbriche di armi. In queste fabbriche, venne introdotta la divisione del lavoro e le mole e le pulitrici vennero fatte girare con la forza idraulica, tanto che Sombart osservava giustamente che Adamo Smith avrebbe fatto meglio a prendere la fabbricazione delle armi, anziché quella degli spilli, come esempio di moderno processo produttivo e dell’economia della concentrazione e della specializzazione. Fu nelle fabbriche di armi di Venezia che Galileo completò il suo bagaglio di conoscenze tecniche.
La spinta delle necessità militari non solo incrementò fin dal principio l’organizzazione di fabbrica, ma rimase e durò per il suo intero sviluppo. Man mano che la guerra accresceva le sue mire ed eserciti sempre più grandi venivano messi in campo, l’equipaggiarli divenne compito progressivamente più pesante. E man mano che le manovre tattiche venivano meccanizzate, gli strumenti necessari per rendere precisi e tempestivi i movimenti furono anche essi resi uniformi. Di qui, con l’organizzazione delle fabbriche venne la standardizzazione, su una scala più vasta di quanto si sia verificato in qualsiasi altro settore della tecnica, eccettuata la stampa.
La standardizzazione e la produzione in serie dei moschetti ebbero luogo alla fine del diciottesimo secolo: nel 1785 Le Blanc fabbricò in Francia moschetti con parti intercambiabili; grande innovazione nella produzione, che costituì la direttiva di tutta la futura tecnica di progettazione. (Fino a quel tempo non si era ottenuta l’unificazione nemmeno per gli elementi minori, come le filettature o le viti.) Nel 1800 Eli Whitney, che aveva ottenuto dal Governo degli Stati Uniti un contratto di fornitura di armi secondo quei criteri, creò nella sua nuova fabbrica di Whitneyville un’arma standard simile. «La tecnica di costruzione di parti intercambiabili» come osserva Usher «venne così fissata nelle sue linee generali prima dell’invenzione della macchina segatrice o della falciatrice. La nuova tecnica fu la condizione fondamentale per il raggiungimento di grandi risultati in questi campi, da parte di inventori e costruttori». Motivo di quei miglioramenti era anche la continua richiesta, da parte dell’esercito, di forti quantitativi di armi. Nella marina britannica venne fatto nello stesso periodo o quasi un passo simile verso l’unificazione della produzione. Con sir Samuel Bentham e Brunel senior le tavole da fasciame ed i vari paranchi per le navi in legno vennero tagliati a misura fissa: la costruzione divenne un montaggio di elementi accuratamente misurati, in luogo del vecchio sistema artigiano di produzione basato sull’adattamento immediato.
Ma vi fu anche un altro settore in cui la guerra accelerò i tempi. La fusione dei cannoni non fu solo «il grande stimolo al miglioramento della tecnica in fonderia», e non per questo solo esiste «il diritto di Henry Cort alla gratitudine dei suoi compatrioti… basato anzitutto sul contributo che egli diede alla sicurezza militare», come dice Ashton, ma avvenne che la richiesta di ferro con date caratteristiche ed in forti quantitativi procedette di pari passo con l’incremento dato al bombardamento di artiglieria come preparativo all’assalto, con una efficacia che fu messa in luce da quel brillante giovane ufficiale di artiglieria che avrebbe dovuto travolgere l’Europa con il suo genio militare, mentre in Francia liquidava la rivoluzione. In effetti le rigorose basi matematiche e l’aumentata precisione del fuoco di artiglieria ne fecero un modello per le nuove arti industriali. Napoleone III verso la metà del diciannovesimo secolo offriva un premio a chi trovasse un procedimento economico atto a produrre un acciaio capace di resistere alla forza esplosiva dei nuovi proiettili. Il convertitore Bessemer fu la diretta risposta a questa richiesta.
Il secondo settore in cui la guerra precorse la macchina e chiaramente aiutò a crearla fu l’organizzazione sociale dell’esercito. L’arte militare feudale era basata di solito su una leva di quaranta giorni: necessariamente intermittente e perciò inefficiente, a parte i rinvii, le soste provocate dalla pioggia, dal gelo o dalla Tregua di Dio. Il passaggio dal servizio feudale all’esercito su base capitalista, composto di lavoratori pagati a giornata — il cambiamento, cioè, dal guerriero al soldato — non riuscì a superare interamente questa inefficienza, perché, se i comandanti delle compagnie mercenarie erano ben pronti ad adottare gli ultimi progressi delle armi o della tattica, il vero interesse del soldato mercenario era di continuare nel lavoro di fare il soldato: per questo la guerra a quei tempi ascese al posto che essa ha tanto spesso tra le tribù selvagge: un rito eccitante celebrato con regole accuratamente prestabilite, con un pericolo ridotto quasi a quello di una partita di calcio di vecchio stile. Vi era sempre la possibilità che la compagnia mercenaria si mettesse in sciopero, o disertasse passando all’altra parte; il principale strumento di disciplina era il denaro, piuttosto che l’abitudine, o l’interesse, o i sogni di grandezza (od il patriottismo). Nonostante i nuovi strumenti tecnici, il soldato mercenario restava inefficiente.
La trasformazione di gruppi disordinati di individui, con tutta la loro incalcolabile variabilità di forza e debolezza, di coraggio e viltà, di zelo ed indifferenza, nella truppa ben esercitata, disciplinata, unificata, del diciassettesimo secolo, fu un grande avvenimento della tecnica meccanica. Lo stesso arruolamento di leva, dopo la lunga sosta iniziata dalla leva romana in Occidente, venne reintrodotto e perfezionato nel sedicesimo secolo dal principe Maurizio di Orange Nassau, e la psicologia del nuovo ordinamento industriale apparve nella piazza d’armi prima di venire instaurata, a bandiere spiegate, nell’officina. La irreggimentazione e la produzione in serie di soldati, intese ad ottenere un prodotto economico, normalizzato ed intercambiabile, fu il grande contributo della mentalità militare al procedimento industriale. E, parallelamente a questa irreggimentazione interna, ve ne fu una esterna che ebbe un altro effetto sui metodi di produzione, precisamente lo sviluppo della stessa uniforme militare.
Nonostante le leggi suntuarie che regolavano l’abbigliamento dei vari gruppi sociali ed economici, non vi era alcuna vera uniformità nel vestiario del Medioevo; per quanto potesse essere comune lo schema vi erano sempre variazioni e deviazioni individuali, dovute alla natura stessa della produzione artigiana ed intermittente. Le poche uniformi che esistevano erano le speciali livree dei grandi principi o dei municipi: Michelangelo disegnò una di queste uniformi per la guardia svizzera. Ma con l’ingrandimento degli eserciti, e le quotidiane esercitazioni militari, divenne necessario creare un contrassegno esterno dell’unione interna: mentre in piccoli reparti gli uomini si conoscevano di persona, nei reparti più grandi si poteva evitare che gli uomini combattessero tra loro solo con un grande emblema visibile. L’uniforme divenne quel contrassegno, quell’emblema, usato per la prima volta su vasta scala nel diciassettesimo secolo. Ogni soldato doveva avere gli stessi vestiti, lo stesso cappello, lo stesso equipaggiamento, di tutti gli altri membri del suo reparto: l’esercizio li faceva agire nello stesso modo, la disciplina li faceva reagire nello stesso modo, l’uniforme li faceva apparire uguali. La cura giornaliera delle uniformi divenne un elemento importante del nuovo «spirito di corpo».
Con un esercito di centomila soldati, quale era quello di Luigi XIV, la necessità delle uniformi venne ad incidere non poco sull’industria: essa fu in effetti la prima richiesta su vasta scala di beni assolutamente standardizzati. Il gusto individuale, l’opinione individuale, le necessità individuali, salvo quelle dettate dalle dimensioni del corpo, non avevano parte in questo nuovo settore della produzione: esistevano le condizioni per una completa meccanizzazione. Le industrie tessili trovarono questa massiccia richiesta, e quando, più tardi, la macchina da cucire fu inventata da Thimonnet da Lione nel 1829, non dobbiamo meravigliarci di vedere il Ministero Francese della Guerra tentare di usarla per primo. Dal diciassettesimo secolo in poi l’esercito non fu solo modello di produzione, ma anche il modello del consumatore ideale nel sistema delle macchine.
Osserviamo l’effetto dei grandi eserciti permanenti del diciassettesimo secolo, e degli ancor più grandi eserciti arruolati in Francia durante la Rivoluzione, i cui trionfi dovevano avere tanto effetto sui futuri sviluppi della guerra. Un esercito è un complesso di puri consumatori. L’esercito, man mano che aumentava di dimensioni, imponeva un carico sempre più pesante alle aziende produttrici: l’esercito deve venire alimentato, alloggiato ed equipaggiato, e non fornisce in cambio alcun servizio salvo che la «protezione» in tempo di guerra. Durante una guerra, inoltre, l’esercito non è solo un puro consumatore, ma un produttore negativo, cioè, per usare l’eccellente frase di Ruskin, produce mali invece che benessere: miseria, mutilazioni, distruzione fisica, terrore, carestie e morte caratterizzano il processo della guerra e ne formano la parte principale del prodotto.
La debolezza di un sistema di produzione capitalistico, basato sul desiderio di incrementare le testimonianze della potenza e della ricchezza, è data dal fatto che il consumo e la circolazione dei beni possono venire ritardati da debolezze umane come i valori affettivi e la lavorazione onestamente curata. Queste debolezze talvolta allungano la vita di un prodotto molto al di là del tempo in cui un’economia astratta ne aveva prevista la sostituzione. Queste remore alla produzione sono automaticamente escluse dall’esercito, particolarmente nei periodi di servizio estivo: l’esercito è il consumatore ideale, in quanto tende a ridurre a zero l’intervallo di tempo tra vantaggiosa produzione e vantaggiosa sostituzione. La casa più lussuosa e sovraccarica non può competere, per la rapidità di consumo, con un campo di battaglia. Mille uomini abbattuti dai proiettili corrispondono più o meno alla richiesta di mille nuovi uniformi, di mille fucili, di mille baionette, e mille colpi sparati da un cannone non possono venire recuperati e reimpiegati. In più, oltre a tutte le sfortune della battaglia, vi è una distruzione molto più rapida di equipaggiamento e provviste.
La guerra meccanizzata, che contribuisce tanto ad ogni aspetto della produzione in massa standardizzata, è in realtà la sua grande giustificazione. Vi è qualche dubbio che essa agisca sempre come tonico temporaneo sul sistema che ha tanto aiutato a produrre? La produzione in gran quantità dipende, per ottenere successo, dal consumo in quantità, e nulla assicura questo consumo quanto la distruzione organizzata. In questo senso la guerra non è solo, come è stata chiamata, la salute degli stati, ma è anche la salute della macchina. Se non ci fosse la non-produzione della guerra a pareggiare i conti, le aumentate capacità di produzione della macchina potrebbero venire assorbite solo limitatamente: aumento sui mercati esteri, aumento della popolazione, aumento del potere di acquisto delle masse grazie ad una drastica riduzione degli utili. Quando le prime due strade sono state esaurite, la guerra aiuta ad evitare l’ultima alternativa, così terribile per le classi dominanti, così minacciosa per l’intero sistema che le sostiene.
[Tecnica e cultura, 1934

 


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