La pubblicità della guerra e l’ipocrisia della sinistra

Su giornali di “sinistra” come “Il Manifesto”, “L’internazionale”, e altri tra cui blog di svariati tipi, possiamo trovare articoli, dossier, approfondimenti, interviste in cui vengono denunciate le peggiori brutalità commesse dagli Stati e dalle multinazionali. Per esempio la lotta dei lavoratori portuali genovesi contro le navi saudite che giravano nel Mediterraneo per caricare i cannoni “Caesar” prodotti dall’azienda francese Nexter è stata raccontata per giorni sul quotidiano “Il Manifesto”.
Negli articoli si fa una critica ai materiali con finalità dualistiche, ossia civile-militare, con tanto di dettagli di costi e funzioni. Poi quando il 26 Aprile la Camera dei Deputati ha approvato la mozione che impegna il governo italiano ad interrompere l’invio di bombe d’aereo e missili all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti hanno, giustamente, denunciato il fatto che quello deciso era un “embargo mirato”, cioè che il blocco era destinato alle aziende produttrici di armi tedesche e non italiane, dal momento che le armi leggere della Beretta non rientravano nella mozione.

Riportiamo giusto alcuni dati.
Secondo l’ OPAL (Osservatorio Permanente Armi Leggere) nel 2018 l’ Italia ha dato 129.746 pistole revolver (1,170 milioni di euro) e 1.202.268 fucili all’Arabia Saudita che da anni conduce una guerra contro lo Yemen. In questa guerra sono morte 102mila persone nei combattimenti, 130mila di fame e malattie, mentre 12.433 bambini risultano registrati come soldati.

Quindi su questo giornale di sinistra, così come su altri, denunciano le crisi ambientali, le guerre e le varie nature delle ingiustizie perpetrate anche dallo Stato italiano, vedi la vicenda Sea Watch 3, o delle tangenti in Nigeria di aziende come l’ Eni che con 2 miliardi di euro si assicura degli importanti giacimenti di gas e petrolio, avvelenando ancora, dopo decenni, le popolazioni locali.
Articoli su articoli che effettivamente su altra stampa si fa fatica a trovare, o di rado se non hai una lettura critica della realtà.

Ma cos’è che non ci torna? Perchè ci lamentiamo di una delle poche voci “fuori” dal coro?
Ebbene possiamo trovare ogni giorno le pubblicità delle peggiori aziende invischiate nelle peggiori nefandezze proprio su questi giornali venduti per guadagno. Prima ti faccio leggere il mio sdegno per le guerre, l’indignazione per la guerra in Libia, e poi a fianco ti metto una bella pagina intera dove l’Eni ti fa la morale sullo spreco d’acqua. Oppure puoi trovare una pubblicità delle Poste Italiane che dice di non svolgere più per conto dello Stato italiano il lavoro infame di deportare gli sfruttati da espellere senza però dire che Poste Italiane, ora privatizzata, continua ad investire parte dei propri ricavi in azioni di aziende che producono armi.
PI quindi aumenta gli utili del 44%, ristruttura l’azienda con il licenziamento di 2700 lavoratori (dati del 3 agosto 2018), aumenta i costi per i consumatori inserendosi anche in vari servizi del nuovo controllo sociale tecnologico, e poi investe in armi.
A casa nostra questo modo di fare “denuncia” è a dir poco ipocrita.
Non ci meravigliamo che i giornalisti di sinistra facciano un lavoro che oltre a non “aiutare” le lotte le ostacola, non solo con questa sfacciata ipocrisia, ma facendo credere agli sfruttati che uno Stato più equo, solidale, green e così via, sia possibile. Che la guerra, le fonti di energia, i servizi, si possono gestire in un altro modo. Tutte le loro parole sono fumo. Certamente una persona con un senso critico tutte queste nozioni fornitegli le può utilizzare in altro modo, evitando di cadere nel tranello della pace sociale, della partecipazione, proprio ora in cui, più che mai, c’è bisogno non solo di una critica radicale alla guerra, ma anche tanta tanta pratica. In questo momento storico non basta indignarsi, non basta denunciare, accumulare dati, ma bisogna creare lotte per fermare concretamente e senza ipocrisia il baratro in cui questa società ci sta portando, e per farlo bisogna andare a fondo dei problemi sociali e scegliere da che parte stare con le dovute conseguenze.


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