La 65° riunione dell’Atlantic Treaty Association (A.T.A.) in programma a Genova dal 6 all’8 novembre 2019 è stata annullata. Ne danno notizia siti web di riferimento e giornali locali, con malcelato imbarazzo. Il Comune e gli organizzatori genovesi comunicano un rinvio a primavera 2020 ma, di fatto, la 65° riunione dei Comitati Atlantici della N.A.T.O. si terrà a Bruxelles, nei medesimi giorni in cui era prevista a Genova. Le ragioni, almeno quelle che trapelano, stanno nella difficile gestione dell’ordine pubblico, in previsione di manifestazioni di protesta, legate anche a quanto sta accadendo in Rojava, con l’invasione in corso da parte dell’esercito turco – non solo membro N.A.T.O., ma il secondo esercito della stessa per dimensioni.
Apprendiamo che il convegno avrebbe destato preoccupazioni anche per una delle due sedi in cui era previsto: Palazzo San Giorgio. La sede dell’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure occidentale utilizzata come luogo in cui discutere come meglio fare la guerra (perché questo fa la N.A.T.O.: la guerra!!) sarebbe stata un’evidente provocazione, dopo le mobilitazioni in porto di quest’estate contro i carichi militari destinati alla guerra in Yemen.
Al di là delle indiscrezioni alcune riflessioni, forse, si possono fare.
L’organizzazione di un congresso simile comporta una certa esposizione mediatica internazionale, il coinvolgimento di diversi attori locali (ClickUtilityTeam, Distretto Ligure delle Tecnologie marine, Istituto Italiano di Tecnologia, Consorzio Tecnomar Liguria), sponsor e finanziamenti. Negli intenti degli organizzatori è esplicitata la volontà di “accreditare Genova come location di prestigio, in grado di ospitare eventi di portata internazionale”. Affermarsi come città meta del turismo congressuale internazionale non porterà le migliaia di turisti che sbarcano ogni weekend dalle crociere – con gentrificazione ed espulsione dei poveri annesse –, ma si tratta comunque di soldi a palate per ricchi e padroni (se i congressi non saltano, però!).
La logistica, in questo caso quella portuale, si conferma un anello nevralgico della valorizzazione capitalista e della catena di morte della guerra. Porta armi e mezzi militari dalle fabbriche ai luoghi di conflitto, o di esercitazione, ma è anche un settore su cui padroni e addetti ai lavori continuano a discutere per migliorarsi e affinarsi. Che si tratti di tagliare i costi del lavoro (ovvero aumentare lo sfruttamento) o mettere una patina di prestigio sui massacri degli eserciti a lor signori non cambia: discutono, banchettano e organizzano distruzioni di massa.
Il 90% delle merci prodotte al mondo passa via mare e le armi non fanno differenza. Proprio sabato 12 ottobre, con spropositato supporto delle forze dell’ordine, circa 80 mezzi militari dell’Esercito Italiano sono partiti da Genova (con traghetto GNV) per la Sicilia, isola che qualcuno ha definito hub militare del Mediterraneo; qualche settimana prima alcune jeep militari americane sono tornate da un’esercitazione N.A.T.O. in Georgia (Agile Spirit 2019, proprio ai confini russi), e altri mezzi da Vicenza verso gli U.S.A., in entrambi i casi dal terminal VTE di Genova-Prà. Le navi della compagnia Bahri continuano a transitare, cariche di mezzi militari imbarcati in Nordamerica.
Quale luogo migliore quindi in cui riaffermare la centralità della guerra se non il palazzo dell’Autorità che a Genova governa la logistica portuale – in un porto in cui qualche sassolino nella logistica militare è stato recentemente messo?
Non vogliamo cadere in facili ed illusorie sopravvalutazioni: non crediamo che la capacità di azione antimilitarista, genovese o meno, sia stata in grado di impensierire davvero la N.A.T.O. E’ invece l’amministrazione locale, quella che durante le mobilitazioni portuali contro i traffici di armi difendeva la produzione bellica indicandola come una delle eccellenze regionali, che si è trovata ora a fare i conti con responsabilità politiche non in grado di gestire. Se contro la guerra non si fa mai abbastanza è forse perché si crede in fondo di non poter fare gran ché. Ma i fatti dicono il contrario. I padroni vorrebbero che non se ne parlasse nemmeno, si nascondono dietro neolingue e formule che pretendono neutre perché le loro responsabilità restino indistinte sullo sfondo. Perché non farlo ogni volta che si può allora? Perché non prendere coraggio e cogliere le occasioni?
La logistica di guerra ha tanti passaggi, che si possono individuare, denunciare, interrompere, bloccare, danneggiare: dalla compagnia navale specializzata nei traffici d’armi ai partners locali di un convegno N.A.T.O., dai mezzi fisici in transito ai centri di ricerca e laboratori dove gli elementi della guerra vengono studiati e realizzati.
La guerra comincia qui, vicino a noi. Si può fermare qui.
Quale modo migliore per fraternizzare con i curdi bombardati dall’esercito turco, o con gli yemeniti bombardati dall’esercito saudita, anche con bombe made in italy?
Quale modo migliore per solidarizzare con i compagni e le compagne accusati di aver agito direttamente contro la guerra e le sue strutture da Genova alla Sardegna, da Torino a Trento?
Quale modo migliore per far capire ai milioni di uomini e donne che fuggono dalle guerre che siamo loro fratelli e sorelle e che governanti e generali sono i nostri comuni nemici?
A volte i gesti concreti valgono più di mille parole.
Cogliamo ogni occasione. Fermiamo la guerra.
antimilitaristi e antimilitariste genovesi
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