Come dopotutto poteva essere prevedibile, la rabbia è esplosa e sta esplodendo in tante piazze italiane ed europee. Se fino ad ora Stato e classi dirigenti (capitanati da Confindustria) hanno determinato le condizioni di reclusione differenziata e controllo poliziesco più o meno incontestati da una sorta di obbedienza rassegnata, adesso le strade hanno iniziato a parlare un altro linguaggio. “È solo l’inizio” si sente urlare più o meno ovunque. Forse qualche voce ancora timida tra il marasma delle piazze riempitesi velocemente una influenzata dall’altra; forse l’idea che le misure coercitive saranno inevitabilmente sempre più stringenti; forse l’impressione crescente di non essere affatto tutti sulla stessa barca; forse le contraddizioni sociali che si fanno semplicemente più esplicite, rendendo più chiaro chi da sempre può morire e chi no, lasciando piccole brecce al sentimento vivo di un conflitto che non ha più pazienza di attendere. Forse.
Ciò che è sicuro è che il governo, proprio perché sa di non potere risolvere problemi talmente intestini da risultare irrisolvibili – ben conscio che non siano le conseguenze di una malattia a far scatenare la rabbia, quanto piuttosto un’organizzazione sociale sempre più polarizzata tra governanti e governati – inizia ad avere paura. Dalla polizia che nelle strade non sempre riesce a fare il bello e il cattivo tempo, ad una fiducia nella gestione politica sempre più in caduta libera. Tutte le maggiori testate si sono affrettate a denunciare le minoranze di violenti – dai fascisti agli anarchici ai gruppi ultras – pronti ad infiltrarsi nelle “legittime proteste dei commercianti”. Ma la realtà è ben diversa ed ognuno di quegli scribacchini lo sa nello stesso momento in cui prova a buttare giù le solite due colonne riciclate: la continua narrazione di un “complottismo” che vorrebbe inglobare qualunque dissenso inizia a vacillare.
E lo sanno bene i vertici dello Stato, che in tutta risposta stanno letteralmente militarizzando l’intera società. Mentre i medici vengono di fatto sostituiti dai militari (1.400 militari in più per effettuare 30.000 tamponi al giorno sul territorio nazionale attraverso l’operazione “Igea”) e il linguaggio del coprifuoco è sempre più esplicito, l’opzione militare è confermata per blindare le città ed “evitare tumulti nelle piazze”. Il tutto è deciso dal “Consiglio supremo di Difesa” – costituito dai ministri del governo e dai vertici militari – convocato per il 27 e 28 ottobre, proprio mentre la rabbia esplodeva nelle strade di tutta la penisola.
Da una parte è certo che un maggior numero di militari nelle piazze sarà uno degli ennesimi provvedimenti che usano il virus come rampa di lancio per poi cristallizzarsi nelle nostre vite, andando ad affiancare la presenza ormai più che decennale di “Strade Sicure” (operazione militare sul territorio iniziata nel 2008 come “misura temporanea”, ma di fatto mai sospesa). Dall’altra l’indicazione delle intenzioni dello Stato – nella misura preventiva ad un possibile innalzamento del conflitto, ma anche della stessa gestione militare di sempre più aspetti della vita – si fa sempre più evidente. Intanto i vertici delle Forze Armate hanno chiesto “almeno diecimila uomini in più” e quello stesso Consiglio ha aperto all’incremento dei ranghi.
In tutto il mondo soffiano venti di guerra, e non serve un indovino per comprendere che quando l’esercito viene utilizzato nelle strade la violenza dello Stato diventa inevitabilmente più spietata. Ce lo hanno mostrato di recente le misure repressive in risposta ad un inevitabile conflitto sociale adottate dallo Stato cileno: coprifuoco, strade e piazze presidiate dai carri armati, feriti, morti.
Mentre la società digitale avanza, una società sempre più sorvegliata, i “soldi pubblici” sono indirizzati al controllo sociale e militare ben più di quanto non lo siano verso una non meglio definita “sanità pubblica”, che sembra invece diventare sempre più un ossimoro. Chi si era adagiato sulla retorica dell’“andrà tutto bene” dovrà presto fare i conti con la logica dello “stato di emergenza” sempre più presente nella quotidianità.
Che fosse solo l’inizio gli Stati lo avevano fatto capire da mesi. Ora le carte iniziano a cadere dal mazzo, ma domani sarà difficile anche solo provare a mettere una mano sul tavolo se non si comprende che la causa di questo gioco al massacro (delle epidemie come della loro gestione) è l’organizzazione sociale stessa; che bisognerà organizzarsi e lottare, ben al di là di un fazioso e ingannevole “diritto a lavorare”.