Sulla sollevazione palestinese dei giorni scorsi contro il colonialismo israeliano – che ha portato, oltre a manifestazioni e scontri dentro gli stessi confini israeliani, al più vasto sciopero generale dei lavoratori palestinesi dal 1939 –, pubblichiamo questo interessante articolo uscito negli Stati Uniti. I suoi punti di forza stanno, a nostro avviso, nel parallelo tra la sollevazione palestinese e la rivolta scoppiata negli USA dopo l’assassinio di George Floyd, e nella consapevolezza che istituzioni strutturalmente razziste non sono riformabili. Il punto debole è invece una certa illusione che quelle istanze di rivolta possano essere rappresentate da qualche politico democratico dentro il Campidoglio.
Per quanto riguarda le tante manifestazioni di solidarietà con i palestinesi in lotta che si sono svolte in Italia – senz’altro la mobilitazione di piazza più ampia dall’Emergenza Covid-19 in avanti –, i due elementi più significativi ci sono sembrati l’ampia partecipazione di giovani e giovanissimi immigrati ai cortei e gli scioperi-blocchi delle armi in partenza per Israele nei porti di Ravenna, Livorno e Napoli (senz’altro stimolati da quelli avvenuti tempo fa nel porto di Genova contro le armi saudite). Unire la solidarietà internazionalista alle lotte contro il razzismo di Stato qui e colpire direttamente gli interessi sionisti. Ciò che non ha ancora preso consistenza – superando assai di rado la forma dell’attività di controinformazione e di denuncia – è la pratica del sabotaggio delle tante collaborazioni delle università italiane con l’accademia e l’esercito israeliani. La promozione internazionale del proprio apparato high-tech – forgiato letteralmente sulla pelle dei palestinesi – è un centro nevralgico dell’economia israeliana. Colpirne i gangli darebbe all’internazionalismo un po’ di quella concretezza di cui ha terribilmente bisogno.
I giovani palestinesi stanno guidando una rivolta per porre fine all’apartheid israeliano
di Dima Khalidi
da invictapalestina.org
Questa generazione rifiuta l’idea che Israele come entità sionista possa essere riformata, proprio come il movimento BLM rifiuta che istituzioni intrinsecamente e strutturalmente razziste come la polizia possano essere “riformate”.
Fonte: english version
Dima Khalidi, Truthout – 17 maggio 2021
In questi giorni, noi palestinesi di tutto il mondo stiamo vivendo un déjà vu, mentre guardiamo nuovamente il nostro popolo resistere alla cancellazione che Israele chiede con la forza di accettare, e sapendo che molti di noi moriranno.
Come madre ho pianto, leggendo il tweet di una madre di Gaza che fa dormire i suoi figli con lei “così che se dovessimo morire, moriremo insieme e nessuno di noi sopravviverebbe per piangere la perdita dell’uno o dell’altro”; o mentre leggevo di un padre che cercava di rassicurare sua figlia che gli chiedeva se la loro casa potesse essere distrutta durante la notte, dicendole che le bombe “al buio non ci vedono”; mentre immagino l’indicibile terrore di essere una dei 2 milioni di persone stipate come sardine in una prigione a cielo aperto mentre le più avanzate armi di distruzione di massa vengono sganciate su di te. Avendo vissuto da bambina l’invasione israeliana e l’assedio di Beirut nel 1982, questo tipo di terrore è radicato nella mia memoria.
Insieme a questo dolore disperato e a questa rabbia impotente, provo anche un’energia familiare, la sensazione che “questo è” . Che non c’è ritorno. La verità è nuda. Il nostro popolo non può più contenere il bisogno di resistere a uno stato colonialista che da generazioni ha esercitato espropriazioni, oppressione e menzogne, vendute per giustificare la nostra disumanizzazione.
È simile ai sentimenti che sono emersi negli Stati Uniti la scorsa estate, quando l’ennesimo nero – George Floyd – è stato ucciso dallo stato in pubblico, in video, per 9 atroci minuti, e le comunità nere si sono alzate per dichiarare la fine della loro oppressione in una società profondamente razzista, una società costruita con il sudore e il sangue dei loro corpi sulla terra rubata ai popoli indigeni.
Questi sono i momenti in cui un popolo oppresso non ce la fa più. I neri e gli indigeni hanno sempre resistito alla loro cancellazione e oppressione. E così anche i palestinesi.
Quest’ultima rivolta palestinese rifiuta fermamente la conquista e la divisione del nostro popolo, legalmente e geograficamente, in appezzamenti di terra separati, assediati e discriminati, simili ai Bantustan dell’Apartheid in Sud Africa. Quest’ultima rivolta dichiara che tutta la Palestina storica è sotto qualche forma di occupazione e che ciò deve finire.
La casa del mio bisnonno a Giaffa giace parzialmente in rovina, recintata e irraggiungibile, nelle mani del “Custode delle proprietà assenti”. Il furto delle case dei nostri nonni a cui è stato impedito di tornare a Giaffa nel 1948, fa parte dello stesso brutale progetto di violenti sfratti di centinaia di palestinesi dalle loro case da parte dei coloni israeliani sostenuti dallo stato a Sheikh Jarrah, a Silwan, a Gerusalemme. Appartiene allo stesso progetto la demolizione del villaggio beduino di Khan al-Ahmar o dei villaggi nel Negev e del trasferimento forzato della loro gente. Promuove lo stesso obiettivo dell’espropriazione delle nostre terre per costruire insediamenti fortificati illegali ed esclusivamente ebraici in tutta la Cisgiordania. Hanno tutti lo stesso scopo: rimuovere un popolo per creare uno stato-nazione discriminatorio e di apartheid per un altro, in tutta la terra dal fiume al mare.
Qui negli Stati Uniti i giovani palestinesi affrontano enormi ostacoli nel dire le loro verità.
Il 15 maggio 2021 ha segnato 73 anni dalla Nakba – l’allontanamento forzato di 750.000 palestinesi dalle loro terre e case per far posto a uno stato ebraico, nel 1948. Da allora la Nakba non è mai cessata.
Di questo si tratta: un violento progetto coloniale per sostituire la popolazione nativa con un’altra. Il fatto che il colonizzatore sia stato un popolo oppresso nel corso della storia, i cui sopravvissuti si stavano riprendendo da un indescrivibile genocidio compiuto dal fascismo europeo, non lo rende giusto.
Eppure, anche in questo momento oscuro e terrificante, una nuova alba sembra possibile. Questa sensazione è ciò che alimenta il mio lavoro con “Palestine Legal” per garantire che le persone negli Stati Uniti – il ventre dell’impero coloniale-colonialista che arma e finanzia la pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele per un importo di 3,8 miliardi di dollari all’anno – possano resistere nel continuare ad essere solidali con noi.
Di fronte a una massiccia campagna per sopprimere il nostro movimento attraverso leggi, azioni legali, bugie e intimidazioni, possiamo continuare a dire la verità e, attraverso l’organizzazione di base, creare il tipo di cambiamenti a cui stiamo assistendo quando le rappresentanti Alexandria Ocasio-Cortez, Cori Bush e Rashida Tlaib testimoniano la nostra oppressione nelle stanze del Campidoglio?
Questa generazione rifiuta l’idea che Israele come entità sionista possa essere riformata, proprio come BLM rifiuta che istituzioni intrinsecamente e strutturalmente razziste come la polizia possano essere “riformate”.
Come in Palestina in questo momento, dove i giovani palestinesi stanno rischiando la vita guidando la rivolta popolare, il crescente movimento per i diritti dei palestinesi negli Stati Uniti è stato alimentato da una nuova generazione di palestinesi e da sempre più sostenitori, che aumentano quotidianamente . È una generazione audace, determinata e senza paura, perché vede che non c’è più niente da perdere. Ed è una generazione di attivisti che si connette con paralleli storici e contemporanei di oppressione, resistenza e immaginazione radicale di un altro mondo, fondato sulla liberazione collettiva di neri, indigeni, immigrati, LGBTQ e altre comunità oppresse in tutto il mondo.
Eppure qui negli Stati Uniti i giovani palestinesi affrontano enormi ostacoli per dire le loro verità. Quando Ahmad Daraldik è stato eletto al senato studentesco alla Florida State University, è stato immediatamente e senza pietà attaccato per la sua critica a Israele, formulata in base alla sua esperienza di vita sotto occupazione. Un’app finanziata dallo stato israeliano ha spinto le persone a lamentarsi del fatto che fosse antisemita e a chiederne l’espulsione. I politici della Florida hanno chiesto lo stesso, minacciando di sospendere i finanziamenti universitari. Ha ricevuto dozzine di messaggi minacciosi, razzisti e vili, che chiedevano la sua castrazione e deportazione. Questa è diventata la norma per i palestinesi e i loro sostenitori che sfidano l’egemonia di Israele negli Stati Uniti. La vergognosa censura di Facebook / Instagram è una misura di ciò.
Ciò è in parte dovuto alla minaccia che le giovani voci palestinesi rappresentano per questa egemonia. Questa generazione non ha pazienza o tolleranza per l’ignoranza intenzionale o il razzismo sfacciato, e non ha nemmeno paura di smascherare le banalità dei liberali che si torcono le mani sugli abusi dei diritti dei palestinesi, ma si rifiutano di riconoscere che Israele, così come lo conosciamo, non esisterebbe e non può continuare a esistere senza quegli abusi e senza il sostegno incondizionato del governo degli Stati Uniti. Per definizione, il sionismo richiede la distruzione della Palestina e la cancellazione dei palestinesi per creare uno stato ebraico. Questa generazione rifiuta l’idea che Israele come entità sionista possa essere riformata, proprio come il movimento BLM rifiuta che istituzioni intrinsecamente e strutturalmente razziste come la polizia possano essere “riformate”.
Ascoltiamoli! Questa generazione di palestinesi ci sta indicando la strada. Stanno parlando a ognuno di noi perché tutti noi, insieme, abbiamo il potere. L’unica via d’uscita è porre fine all’occupazione, porre fine all’apartheid, porre fine all’assedio e alla distruzione di Gaza, porre fine alla duratura espropriazione di generazioni di palestinesi, riconoscere le ingiustizie storiche e ripararle – attuando il diritto al ritorno, attraverso compensazioni e altri mezzi riparatori. Perché solo allora potremo parlare di vera pace – non di pace solo per gli ebrei israeliani, una pace a spese dei palestinesi, schiacciati sotto il loro stivale coloniale.
I palestinesi – sotto occupazione e nella diaspora – stanno chiedendo a tutti noi di testimoniare e condividere le loro realtà, di pronunciare i loro nomi, ripetere le loro richieste, porre fine alla nostra complicità e unirci alle loro visioni per un futuro nuovo, decolonizzato e liberato per tutti. Ci state?
Dima Khalidi è una palestinese nata a Beirut e cresciuta negli Stati Uniti. È la fondatrice e direttrice di Palestine Legal, un’organizzazione legale e di difesa senza scopo di lucro che lavora per proteggere le persone che sostengono la libertà dei palestinesi dagli attacchi ai loro diritti civili e costituzionali.
Trad: Grazia Parolari