Recovery fund e spese militari

Articolo tratto dal periodico Seme Anarchico del giugno 2021

Recovery fund e spese militari

La pandemia non ha fermato, anzi accentuato la tendenza al rialzo delle spese militari già consolidatasi da qualche anno tra molti alleati della NATO. Il 2020 potrebbe costituire lo spartiacque tra un’epoca di bilanci militari ridotti o stagnanti e una nuova fase di incremento della spesa. E’ il caso dell’Italia che ha visto la spesa per le tre Forze Armate (Funzione Difesa) crescere nel 2020 fino a 15,32 miliardi di euro contro i 13,98 del 2019 con un incremento di ben 1,3 miliardi (+9,6%), nel 2021 tale stanziamento dovrebbe salire a circa 17 miliardi con almeno 7 miliardi (4 del bilancio e 3 dai fondi del Ministero dello sviluppo Economico) destinati ad acquisire nuovi mezzi, armi ed equipaggiamenti.

La crescita delle spese militari è favorita da due fattori. Il repentino mutamento della politica economica europea tramite lo strumento del Recovery Fund e la crisi di alcuni settori economici che di fatto hanno visto azzerare, nell’epoca del Covid i ricavi, in particolare nel trasporto aereo e marittimo. Sotto l’aspetto delle politiche economiche, dopo anni di austerity imposta dalla Germania a tutti i partner Ue, l’epidemia ha determinato il successo delle “politiche economiche espansive” basate sull’aumento del debito e sulla spesa in deficit. L’Europa, per la prima volta assume la responsabilità di un debito comune ed ha messo a disposizione degli stati aderenti 750 miliari di Euro.Bisogna chiarire un aspetto di fondo, spesso trascurato, i fondi europei non sono regalie o prestiti per “tamponare” le emergenze sociali, ci riferiamo in particolare alla sanità ed all’istruzione.Si tratta di debiti che devono essere ripagati. L’unica via per rientrare dal debito è quella di produrre profitti ovvero assicurare la famosa “crescita”. Il Recovery Fund ha quindi lo scopo di indirizzare la liquidità a quelle attività industriali che siano in grado immediatamente di essere competitive nel mercato globale e generare i ricavi. Due sono i settori che hanno tali caratteristiche, quello dell’industria digitale, industria 4.0, e l’apparato militare industriale, unico comparto che in epoca di Covid non ha subito, a livello globale, flessioni, conseguendo per contro uno sviluppo. La spesa militare non significa solo rinnovare e ammodernare le forze armate, ma soprattutto intervenire nei comparti economici che nello scorso anno hanno azzerare o quasi il fatturato. L’apparato militare industriale ha compensato le il crollo delle commesse dell’aviazione commerciale o delle navi da crociera. Ricordiamo che da anni lo sviluppo tecnologico dell’apparato militare industriale è indirizzato al Dual Use, ovvero all’utilizzo indifferenziato del “prodotto militare” in ambito civile. Di conseguenza indirizzare una parte cospicua dei fondi europei al settore industriale militare deve essere valutato non tanto sotto l’aspetto “etico” ma come logica conseguenza di una leva economica quella del profitto, unico mezzo per rientrare dal debito europeo. In sintesi il Recovery Fund è lo strumento di riconversione industriale non tanto e solo per garantire posti di lavoro e sopravvivenza alle industrie nazionali , ma soprattutto per competere sul mercato globale e la competizione si gioca e si giocherà nel futuro nel campo della digitalizzazione ovvero nel campi dell’ Aerospazio, Cyber, Intelligenza Artificiale e in generale dell’Alta Tecnologia, dove non a caso è attivo ed in piena fase espansiva l’apparato industriale militare. Il fondo Europeo ha una consistenza 750 miliardi di euro. All’Italia è destinata la quota maggiore, ovvero 209 miliardi di euro nei prossimi 6 anni; oltre 81,4 dei quali come sovvenzioni e i restanti 127,6 come prestiti.

Nell’attesa, i Ministeri della Difesa e dello Sviluppo Economico hanno presentato un elenco di progetti di carattere militare ( complessivi 21) per l’ammontare di circa 30 mld. I progetti del Ministero della Difesa prevedono di spendere 5 miliardi di euro del Recovery Fund per applicazioni militari nei settori della cibernetica, delle comunicazioni, dello spazio e dell’intelligenza artificiale. Rilevanti i progetti relativi all’uso militare del 5G, in particolare nello spazio con una costellazione di 36 satelliti. Per avere un quadro completo delle spese militari, oltre ai fondi del Recovery Fund bisogna sommare 35 miliardi stanziati a fini militari dai governi italiani per il periodo 2017-2034, in gran parte nel bilancio del Ministero dello Sviluppo Economico. Essi si aggiungono al bilancio del Ministero della Difesa, portando la spesa militare italiana a oltre 26 miliardi annui, equivalenti a una media di oltre 70 milioni di euro al giorno, in denaro pubblico sottratto alle spese sociali. Cifra che l’Italia si è impegnata nella Nato ad aumentare a una media di circa 100 milioni di euro al giorno, come richiedono gli Stati Uniti. Lo stanziamento a tal fine di una ingente parte del Recovery Fund permetterà all’Italia di raggiungere tale livello. In prima fila, tra le industrie belliche che premono sul governo perché aumenti la fetta militare del Recovery Fund, c’è la Leonardo, di cui il Ministero dello Sviluppo Economico possiede il 30% dell’azionariato. Stando ad una relazione pubblicata dal consiglio per l’innovazione del ministero della difesa degli Stati Uniti, che “il vero potenziale del 5G sarà il suo impatto sulla rete di guerra del futuro. Questa rete includerà sempre di più un ampio numero di sistemi meno costosi, più connessi e più resilienti, in grado di operare in uno scenario di battaglia in rapida evoluzione”. Le tecnologie wireless di prossima generazione costituiscono anzitutto una rivoluzione nelle operazioni militari che cambierà tutto, dall’addestramento alla logistica, alle dimensioni tattiche, operative e strategiche della guerra. In Europa si prevede che satelliti ibridi e architettura di rete 5G modelleranno il futuro della comunicazione mediante droni. Infatti i droni necessitano di reti di dati attendibili per eseguire operazioni quali comando, controllo o volo in autonomia. Attualmente sembrerebbe che i ricercatori finanziati dall’UE pensino ad un’architettura ibrida nata dalla combinazione tra reti cellulari e satellitari per consentire il volo veloce e sicuro di droni commerciali nelle aree urbane. La stessa industria della difesa e sicurezza più importante italiana, Leonardo S.p.A., nella Relazione finanziaria annuale del 31 dicembre, inserisce il 5G nell’ambito dell’elettronica per la Difesa e Sicurezza, programmi di finanziamento su ricerca e innovazione, in ambito spazio e cyber. Insieme ad ENI, in quanto azienda di interesse strategico nazionale, fornisce informazioni sui propri sistemi di sicurezza cibernetica e valutazioni relative alle prospettive connesse con l’avvento della rete 5G. In conclusione il “digitale” è la nuova frontiera industriale. Ancora una volta è il settore militare, per le sue caratteristiche, dual use, alto contenuto tecnologico che fa da traino all’intero progetto di ristrutturazione. Ne consegue che da parte nostra dobbiamo sempre più considerare il “mondo militare” nel suo complesso come il centro dell’economia, una posizione sempre più strategica che esclude quelle “vecchie” ormai superate dalla storia, parole d’ordine: Riconvertiamo l’industria militare. “più burro e meno cannoni” appartengono ormai al passato, dobbiamo rimodulare il nostro antimilitarismo tenendo presente la centralità assoluta nel sistema capitalista dell’apparato industriale militare.

Daniele Ratti


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