Una presa di coscienza senza pratica rimane monca

Il 10 Agosto sul giornale «Il Manifesto» uscì un appello dal titolo “Per una nuova obiezione di coscienza”. Vari giornalisti, avvocati, docenti, si appellavano alle coscienze dei militari, poliziotti, dipendenti pubblici invitandoli a portare avanti il valore dell’obiezione di coscienza rispetto alle politiche migratorie portate avanti dal governo giallo-verde.

Nel 2004 è finito il servizio di leva obbligatorio, al tempo in migliaia decisero di non impugnare le armi, decine decisero di disertare completamente gli obblighi di Stato finendo anche in galera.
Ora che il governo è cambiato in giallo-rosso ci sembra che poco sia cambiato, Di Maio ha appena deciso di andare in Tunisia, fresca di elezioni, per prendere accordi sui rimpatri; in Grecia decine di migliaia di persone si ribellano contro il trattamento inumano nei campi;uomini e donne continuano a morire nel mare, e sempre Di Maio si lamenta che l’operazione Sophia non ha le navi per fermare i barchini con i migranti.
Il blocco delle navi ONG portato avanti dall’ex ministro Salvini è finito, e il viaggio dei migranti sembra puntare ad essere indipendente piuttosto che appoggiarsi alle ONG.

Cos’è cambiato da luglio-agosto ad oggi? Questo invito all’obiezione di coscienza è ancora valido? E poi a degli uomini e donne che si sono resi schiavi per uno stipendio, pronti a ricevere qualsiasi ordine più o meno liberticida, indossando una divisa, qualunque divisa, siamo certi che importi di questi appelli così umani ma ben poco efficaci?

Che ci siano persone con degli slanci di dignità umana in un’epoca sempre più frivola, priva di rapporti solidali, è cosa buona, però sappiamo anche che, se a questi appelli non seguono azioni efficaci, che portino alla rottura con chi sostiene politiche di sfruttamento e assassinio, allora anche la riflessione più ampia, sul perché servono persone in divisa, ci sembra un ragionamento monco.
Dove sono finiti i cortei combattivi contro la guerra, i blocchi dei porti agli armamenti – per quanto sia importante, non basta fermare le navi saudite come a Genova – dove sono finite le persone sedute su quelle rotaie che trasportano su e giù gli armamenti? Di appelli così ne possiamo scrivere a centinaia e forse non arriveranno mai alle orecchie di chi si intende raggiungere.
Quanti oggi indossano una divisa lo fanno perché ci credono, vogliono quel ruolo e, se disubbidiscono, cosa assai rara, subiscono ripercussioni, oltre ad essere trattati come “mezze cartucce”, giusto per rimanere in tema.
Quello che manca è l’agire che superi la legalità, in un momento nel quale si rischia di pagare caro anche un blocco stradale. Ma se si odia la guerra, se non si sopporta di vedere le persone morire in mare, c’è poco da scegliere oltre alla pratica dell’azione; se le masse interpellate non si muovono agli appelli, saranno le volontà dei singoli a riportare il dibattito nel vivo della discussione: nelle università, sui giornali, nelle strade.
Che ognuno segua la sua obiezione di coscienza.


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