È apparsa sui quotidiani in questi giorni la notizia di un “mini-campeggio” della
durata di 15 giorni per assaporare l’ebbrezza della vita militare, che si
svolgerà a partire dal 14 settembre a Bolzano.
Saranno 150 giovani volontari dai 18 ai 25 anni a svolgere questo stage nelle
caserme bolzanine.
"Fin dall’inizio del mio mandato di ministro – dice La Russa – ho pensato
alla mini-naja, un breve periodo che possa essere utilizzato dai giovani per
un’esperienza nelle caserme, una preparazione atletico-culturale di tipo
militare."
La Russa sottolinea di aver affidato all’Ana, l’ Associazione nazionale alpini,
il compito di selezionare i giovani "andando a colmare quel vuoto che dopo
la fine dell’esercito di leva si era inevitabilmente creato".
Quella
che segue è un’intervista a La Russa sul senso di questi stage di
"mini-naja" e sulle prospettive che potrebbero aprire.
Il ministro La Russa, forse ritenendo che quel che va facendo la collega
Gelmini debba essere integrato, ha proposto di aprire le scuole militari anche
a una quota di ragazzi “civili” nella proporzione del 25% di quanti le
frequentano attualmente. L’idea, unita a quella della mini-naja di un solo mese
per tutti gli italiani, è trattata nell’articolo presente nel sito de “Il
Messaggero”. Di seguito la parte introduttiva:
“Ministro La Russa, è vero che lei proporrà agli italiani di tornare a fare la
naja?
«Una mini-naja. Solo un mese. E poi devo dire che qualche iniziativa in tal
senso esiste già. Per esempio, in Lombardia, il ministro dell’Istruzione ha
varato un “four training days”, ma la mia idea è un po’ più completa».
Può spiegarci la sua idea?
«Io parto dal fatto che dopo la fine del servizio di leva – che ho salutato con
favore, perché l’Italia aveva bisogno di un esercito professionale – c’è stato
un effetto collaterale negativo: non c’è più contatto tra le giovani
generazioni e i valori che vengono dalle Forze armate. Il secondo effetto
negativo è che le Associazioni d’arma non ricevono più la linfa che veniva da
chi faceva il militare. Messe insieme queste due cose e avendo come obiettivo
quello di avvicinare le giovani generazioni ai valori che le Forze armate
interpretano, ho pensato a un provvedimento che istituisca degli stages, dei
corsi atletico-militari di un mese al cui interno ci siano anche momenti di
educazione civica, al fine di far conoscere meglio i diritti ma pure i doveri
che promanano dall’essere italiani. Finito il mese, i ragazzi potrebbero essere
avviati ad azioni di volontariato all’interno delle Associazioni d’arma. Questo
è l’obiettivo: di consentire a dei ragazzi, su base volontaria, di avvicinarsi
alle Forze armate senza dover diventare soldati di professione».
Questa mini-naja non è un costo aggiuntivo sul già malridotto bilancio della
Difesa?
«No, il costo è molto ridotto.
Abbiamo già un alto numero di sottufficiali che potrebbero fare da istruttori.
L’unico costo è l’equipaggiamento. Roba modesta. Cominceremo con gli alpini, i
paracadutisti e i marò del “San Marco”»…”.
Procede
a ritmo spedito, come si vede, la militarizzazione della società. Imparare i
“valori delle Forze armate” (cioè la guerra, l’omicidio a comando, la
gerarchia, l’obbedienza, il servilismo, il sopruso, lo spirito di corpo, la
rassegnazione, l’annullamento della propria individualità, l’odio del diverso,
l’indifferenza all’altrui dolore…) è utile per vivere in questo mondo. E per
insegnarli, i suddetti valori, chi meglio di un Alpino di ritorno
dall’Afghanistan o di un marò del “San Marco” che ha appena eroicamente
respinto verso la Libia un barcone di disperati?