Il 17 dicembre, un ragazzo tunisino di 26 anni, laureato e disoccupato, si cosparge di benzina e si dà fuoco perché la polizia gli sequestra il banchetto di cous cous e frutta con cui tira a campare. È la causa immediata di una rivolta sociale che si allarga a tutta la Tunisia e dialoga con quanto accade in Algeria. Una rivolta contro il caroviveri di tutti i beni di prima necessità, contro la disoccupazione, contro la fame, che ben presto attacca le sedi del potere, espropria negozi e magazzini e si scontra con i difensori in armi di un governo sostenuto dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. I ribelli uccisi dalla polizia sono già alcune decine (30? 50?). Il presidente della Tunisia Ben Ali gode dell’appoggio del governo italiano (per conto dell’ENI) fin da 1987.
Ancora una volta la gioventù ribelle dà il via a una sommossa di classe.
Dal 12 gennaio l’esercito è entrato a Tunisi. Caroselli di carri armati circondano la capitale e pattugliano le strade. Le armi di cui è dotato l’esercito tunisino sono in buona parte di fabbricazione italiana.
Come si vede, i rapporti della Nato sulle operazioni urbane non sono vuote e fumose teorie: gli eserciti servono anche nelle città dei paesi democratici (non è forse considerata tale, dalla comunità internazionale, la Tunisia?) per reprimere i poveri in rivolta.
Tunisi è più vicina di quanto non si pensi.
Facciamo sentire la nostra solidarietà ai fratelli della Tunisia e dell’Algeria in rivolta contro lo stesso futuro che i padroni e i loro Marchionne stanno preparando anche per noi.