E gli stupri dei soldati italiani?

Lo scorso 23 Aprile al Palazzo di Vetro, a New York, c’è stato un Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Sul tavolo c’era da discutere una risoluzione che aveva come obiettivo il combattere l’uso dello stupro come arma da guerra.
Il testo formulato dalla presidenza tedesca ha creato un dibattito molto teso. Questo testo aveva due punti fondamentali: il primo la creazione di un organismo di monitoraggio della violenza sulle donne in ambiti di guerra, il secondo per il finanziamento di aiuti sanitari alle vittime di strupro tra cui l’interruzione di gravidanza assistita. Su tutti e due i punti un’ inedita alleanza USA-Cina-Russia ha messo il veto sulla risoluzione indebolendo così la proposta.
Sul secondo punto poi Donal Trump si è opposto con forza perchè aiutare le vittime di stupro vuol dire supportare la pratica dell’aborto: un bel discorso per il suo elettorato conservatore viste le nuove leggi sull’aborto passate negli ultimi mesi in alcuni Stati federali degli USA. Presenti all’incontro c’erano anche ONG come Fondazione Pangea, Amnesty International, l’ambasciatore italiano Stefano Stefanile, e anche persone dello spettacolo come l’attrice Angelina Jolie o Amal Clooney che con la sua ingenuità ha dichiarato che “l’epidemia di violenza sessuale ha come unico antidoto possibile la giustizia”.

Infatti, a proposito di giustizia, nel 2001 al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia per la ex Jugoslavia per la prima volta il reato di violenza sessuale contro le donne fu considerato crimine contro l’umanità. Durante la guerra in Bosnia si valuta che le donne stuprate sono tra le 20.000 e le 50.000 e pochissime sono finite al tribunale dell’Aia. Quindi il concetto di giustizia non regge, anche se ci si appella ad “autorevoli” tribunali. Essi faranno parte di una tragica commedia, la quale ha come scopo il ripulire la facciata di una società perennemente in guerra.
Infatti negli articoli usciti sul Corriere della Sera tra Aprile e Maggio, scritte da giornaliste italiane come Fausta Chiesa, si denunciano i famosi casi di strupri collettivi in Bosnia, Kosovo, Cecenia, Sierra Leone, Ruanda, Congo fino alle responsabilità dei soldati americani nel 1945 nella base di Okinawa, passando poi per i racconti del premio Nobel per la Pace del 2018 Nadia Murad, una delle donne yazida stuprate e torturate in Iraq dagli uomini di Isis.
Cos’è che manca in questa finta denuncia e finta indignazione? L’ Italia.
Non una parola degli stupri alle donne slave, etiopi, libiche, russe durante la seconda guerra mondiale o durante il periodo coloniale. Nessuna parola sugli scandali dei soldati italiani negli anni ’80 in Somalia, senza poi contare dei soldati e carabinieri che hanno stuprato donne italiane dopo il terremoto a L’Aquila o a Firenze.
Non una parola sui dati dei centri anti-violenza italiani dove emerge che la maggior parte dei casi di donne che subiscono violenza in Italia è dovuto ad uomini che di mestiere usano le armi.
Niente di tutto questo viene detto.
Dove c’è una base militare c’è nonnismo, sessismo, violenza indiscriminata che non porta a nulla di buono. Versare lacrime di coccodrillo per gli stupri che avvengono lontano da noi è miserevole. Lottare contro gli stupri vuol dire lottare contro il sessismo in generale, ma anche contro le guerre e gli Stati che le vogliono, cioè tutti visto che tutti hanno eserciti o accordi di difesa nazionale. Lottare contro lo Stato vuol dire lottare contro una società che produce una mentalità violenta verso il prossimo e quindi contro lo stupro. Le cose vanno assieme.


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