Breve cronologia di un’escalation militare (in aggiornamento)

30 dicembre 2019. Raid aereo degli Stati Uniti contro cinque obiettivi situati in Iraq e Siria, appartenenti alle milizie Kataib Hezbollah, il ramo iracheno del “Partito di Dio” libanese strettamente legato a Teheran: vengono uccisi venticinque miliziani, fra cui quattro comandanti. Gli USA rivendicano questi attacchi in risposta all’uccisione di un contractor americano avvenuta durante uno dei recenti raid di Kataib Hezbollah contro le basi USA in Iraq.

È lo stesso segretario di Stato statunitense Mike Pompeo a definire l’attacco “una risposta decisiva che mette in chiaro quello che il presidente Trump è andato ripetendo per mesi e mesi, ovvero che non permetteremo alla Repubblica Islamica dell’Iran di intraprendere azioni che mettano a repentaglio la vita di uomini e donne americani”.

31 dicembre 2019-2 gennaio 2020. Per due giorni le milizie sciite filo-iraniane presenti Iraq assediano l’ambasciata americana di Baghdad. Due giorni di lanci di pietre, incendi alla reception della sede diplomatica, bandiere gialle delle milizie sciite issate sul tetto e un presidio con tende e viveri a sostegno di chi era accampato lungo il perimetro dell’edificio. È un’azione che va distinta dal susseguirsi di mobilitazioni popolari che hanno interessato l’Iraq negli ultimi mesi: queste ultime infatti, si scagliano contro la corruzione e l’inefficienza del sistema statale iracheno, condannando l’ingerenza americana come quella iraniana, ed hanno subito pesante repressione sia da parte delle forze di polizia irachene (addestrate da USA e alleati, fra cui anche militari italiani) che dalle stesse milizie sciite protagoniste dell’assedio all’ambasciata. La risposta americana è muscolare: viene annunciato l’invio di altri 750 marines.

4 gennaio 2020. Su ordine di Trump ed alla conoscenza di un ristretto consiglio di guerra, viene ucciso Qasem Soleimani, capo delle unità al-Quds, unità di élite delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Restano uccise altre dieci persone, fra cui Abu Mahdi al-Muhandis, comandante delle Kataib Hezbollah. Il raid avviene all’alba, nelle vicinanze dell’aeroporto di Baghdad, mediante sette missili pilotati a distanza. Soleimani è stato una delle massime autorità militari iraniane, protagonista della rivoluzione Khomeinista del ’79 e dei conflitti che hanno successivamente coinvolto l’Iran, fino ai recenti interventi in Siria e in Iraq.

8 gennaio 2020. In risposta all’uccisione di Soleimani, l’Iran compie un raid missilistico contro due basi aeree USA situate in Iraq (di cui una ad Erbil, Kurdistan iracheno). Non si sarebbero vittime, dicono fonti governative dei paesi che hanno lì contingenti militari parte della coalizione internazionale anti-Isis, ovvero Polonia, Italia, Norvegia, e Danimarca, sebbene la tv di Stato iraniana parli di 80 soldati americani uccisi. Nessuna vittima nemmeno tra i soldati iracheni, anche loro presenti nelle due basi. L’amministrazione americana annuncia che non ci sarà una risposta armata da parte degli USA. In una diretta tv, Trump annuncia una strategia basata su tre punti: nuove e massicce sanzioni economiche sull’Iran; coinvolgimento delle quattro potenze firmatarie dell’accordo sul nucleare (Germania, Francia, Russia e Cina), da cui gli Stati Uniti si erano ritirati a maggio 2018, per la rinegoziazione di un nuovo accordo più restrittivo; offerta di dialogo con i leader dell’Iran, un paese che per Trump “potrebbe prosperare” qualora cambiasse il proprio atteggiamento.

Fonte: Nena News 


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