Testo distribuito a Pisa e Livorno in occasione della giornata di
mobilitazione contro la guerra lanciata dai portuali genovesi.
Per il 17 febbraio, i portuali genovesi hanno lanciato una giornata di
mobilitazione contro la guerra in ogni città. Da fine maggio i
lavoratori del porto, appoggiati da alcuni solidali, lottano contro il
carico-scarico di materiale militare da parte della compagnia Bahri.
Questa compagnia, battente bandiera saudita, trasporta mezzi militari e
armi in ogni angolo del pianeta. Mezzi e armi che producono effetti
devastanti negli scenari di guerra dove vengono impiegati. Come in
Yemen, dove da anni la popolazione autoctona muore sotto bombe prodotte
anche da eccellenze Made in Italy, come RWM. Come nella regione del
Kashmir, dove il governo indiano opprime le popolazioni di quest’area.
Come in Siria e in Libia, dove il regime del sultano Erdogan mostra al
mondo la sua potenza militare.
I portuali si mobilitano contro il business bellico all’interno del loro
porto, perché non vogliono essere coinvolti in un meccanismo di sangue
che produce morte e distruzione. Impedendo il carico-scarico delle navi
della compagnia Bahri hanno dimostrato che il miglior modo per essere
solidali con le popolazioni che crepano sotto le bombe è combattere la
guerra partendo da casa nostra, bloccando i traffici di armi. Queste
pratiche di lotta provocano fastidio e paura nei padroni che rispondono
con una repressione sempre più spietata. Come a Prato o nelle campagne
del Sud, dove viene applicato il Decreto Salvini ai lavoratori in lotta.
La mobilitazione dei portuali e dei solidali genovesi ricorda a tutti
che combattere la guerra è possibile. Per davvero. Perché la macchina
bellica ha i suoi nervi scoperti ovunque, basta scovarli. Chi commercia
strumenti di morte fa transitare i suoi carichi non solo nei porti, ma
anche nelle ferrovie e nelle strade. Chi depreda i territori lasciando
morte e distruzione ha nome e cognome, sono anche i padroni di casa
nostra, eccellenze come le italiane Eni ed Enel. Chi pianifica, progetta
e programma la guerra ha le sue sedi e i suoi uffici qui, nelle
università, nei centri di ricerca o nelle basi militari.
Anche a Pisa siamo in piazza non solo per dare solidarietà ad una lotta
giusta, doverosa e che sentiamo a noi vicina, ma per denunciare che
anche nel territorio pisano ci sono realtà che contribuiscono in molti
modi alle guerre portate avanti nel pianeta. Una di queste è la base
americana Camp Darby, nodo strategico per la logistica militare targata
USA e situata a pochi km dall’aeroporto di Pisa, che con il suo hub
militare può movimentare armi, mezzi e 30.000 militari al mese in tutto
il mondo. Questa base è stata recentemente ampliata, per favorire il
collegamento diretto con la rete ferroviaria e il porto di Livorno.
Altra realtà che rende possibile il business bellico è la ricerca,
portata avanti in città dal Sant’Anna o dal dipartimento di Ingegneria
di UNIPI. All’interno di quest’ultimo troviamo il centro di ricerca Lab
RaSS, che vanta progetti nell’ambito di sistemi radar e
telecomunicazioni insieme al Ministero della Difesa e alla NATO. Queste
tecnologie, progettate nelle università, vedranno la loro realizzazione
e il loro commercio da parte di multinazionali come Leonardo (con sede
in zona Opedaletto) o da aziende come Ingegneria dei Sistemi S.p.a.
(sempre con sede a Pisa) e usate dagli eserciti per uccidere, opprimere
e devastare.
Stati e padroni, tramite la guerra, vanno alla ricerca di profitti. In
tempi di crisi, nei nostri tempi, questa tendenza non può che farsi
totale. La guerra è dappertutto. Se tutto questo ci fa schifo è
importante non restare indifferenti, non cadere nell’arrendismo. Fermare
la guerra è possibile, lo ribadiamo. Non con petizioni, non con
elemosine a chi ci governa, non con richieste a chi pretende di
rappresentarci, non con la delega. Fermare la guerra è possibile, qui ed
ora, solo con la lotta. Si tratta di rimboccarsi le maniche. Adesso!
Solidali con i portuali genovesi in lotta
Non diamo pace a chi vive di guerra!
Garage Anarchico
Aula R