Questo scritto ci fu inviato dal carcere nel mese di ottobre 2019 da parte di un compagno. Dopo varie peripezie riusciamo a pubblicarlo. Ne troviamo il senso anche in questo periodo. Se ora c’è il problema di questa nuova emergenza legata al virus, le soluzioni che gli Stati ed i padroni vogliono dare sono prettamente tecniche, quindi legate all’economia e all’interesse dei privilegiati. Il mondo che abbiamo difronte, che ci sta schiacciando la libertà e anche la serenità di intravedere un futuro diverso, passa dalla ristrutturazione di tutta la società in campo tecnologico e non solo. Questa trasformazione passa per faccende molto reali, in primis il continuo aumento della produzione energetica, il secondo nell’estrazione di fonti sia energetiche, che materiali utili alla produzione di qualsiasi tecnologia necessaria a questo tanto agognato progresso mortifero. Ci riempiono la testa di emergenze, di paura, quando invece bisogna tessere dei ragionamenti ben più ampi su quello che sta avvenendo e non viene raccontato.
L’ ENI ed un suo sguardo d’insieme
Continuiamo ad osservare l’incessante propaganda mediatica portata avanti dall’azienda di Stato ENI e della sua campagna pubblicitaria.
Ogni giorno sentiamo parlare sui svariati media il dibattito sul cambiamento climatico, esso è entrato al centro delle politiche europee e non solo. Per quanto riguarda l’Italia viene evidenziato che lo Stato continua a dare miliardi di euro in compensazioni al consumo di diesel e carbone, che le risorse date ai progetti della nuova “green” economy siano troppo poche, che la situazione di ristagno economico del paese, può essere risolta tramite un’iniezione di finanziamenti che spingano le aziende e le industrie a ristrutturarsi verso scelte più “attente” alla natura, al risparmio e altri virtuosismi.
I paesi che non sottoscrivono ai trattati internazionali (Cina, USA, India, i primi produttori di CO2 al mondo) vengono criticati apertamente per il loro disinteresse, le riflessioni e dibattiti si susseguono in ogni forma, i giovani accusano la classe politica e dirigente di fare troppo poco per proteggere l’ambiente e il loro futuro.
Noi crediamo che questa presa di coscienza sulle tematiche ambientali sia dettata anche da una sincera preoccupazione, ma allo stesso tempo sia povera di una visione d’insieme e del vero intreccio che c’è tra risorse energetiche, interessi finanziari, geopolitica, conquista dai territori, sfruttamento, guerra.
Nelle piazze viene detto che bisogna cambiare il sistema e non il clima, frase questa che è già stata recuperata dalle forze politiche che hanno tutto l’interesse di assecondare la massa di giovani volenterosi, critici ma non radicali, non irrecuperabili. È come se venissero, i giovani Friday for Future, accompagnati nella nuova concezione di società tecnologica, del controllo di tutti gli aspetti della vita umana e naturale. Un opposizione ingenua e fittizia nel paniere dei nuovi interessi padronali. In questo grande dibattito l’ENI non è per nulla assente, compra pagine pubblicitarie di quotidiani e riviste, sponsorizza concorsi letterari, entra nelle università spacciandosi per salvatori del mondo.
L’AD Claudio Descalzi in un intervista al giornale La Repubblica del 24/09 dice: “siamo un’azienda globale e dobbiamo dare risposte ad un problema globale come quello del clima. Lo facciamo in maniera trasparente, con obiettivi dichiarati, certificati da soggetti indipendenti. Ivi compresa la trasparenza finanziaria. Le grandi multinazionali non sono isole e non possono comportarsi come se lo fossero”. Inoltre auspica il passaggio dal carbone-petrolio al gas waste to fuel (utilizzo dei rifiuti urbani organici), promettendo anche di aiutare i paesi africani e dichiarando che entro il 2030 l’ENI ridurrà drasticamente la produzione di CO2.
A parte il fatto che l’ENI sta facendo nuovi affari in Emirati Arabi Uniti per il petrolio, passano tre giorni e sempre su La Repubblica si legge che Descalzi viene di nuovo indagato dalla Procura di Milano per omessa dichiarazione di conflitto d’interessi in Congo.
Questa inchiesta è la fotocopia delle altre inchieste aperte contro l’ENI negli ultimi anni (Algeria e Nigeria). Per gli inquirenti c’è la presenza di funzionari pubblici locali e la “retrocessione” di una parte dei soldi che vengono versati per il rinnovo dei diritti di estrazione. Sembra che i soldi siano tornati indietro a delle società che fanno riferimento alla moglie di Descalzi, Marie Magdalena Ingoba, di cittadinanza congolese ed indagata per corruzione internazionale. Nell’ipotesi dei PM Spadaro e Storari ci sono anche delle tangenti pagate allo Stato congolese, storia questa già sentita in Nigeria.
Il sistema è quello vecchio delle scatole cinesi, un groviglio di società che tramite le rogatorie si può fare il gioco dell’illusionista, in questo caso con i soldi che passano di mano in mano. Si apprende che queste società sono appoggiate in Olanda, Lussemburgo e Cipro. Esse sono legate all’uomo d’affari inglese Anthony Haly che assieme ad Ingoba detiene la Cardon Investments che tramite vari giochi finanziari tra il 2007 e il 2018, 300 milioni di dollari in commesse sarebbero stati girati a Petroservice senza che gli organi societari ne fossero a conoscenza. La Petroservice è l’azienda appoggiata in Olanda. Quello che osserviamo sono varie strade intrecciate. Da un lato abbiamo i vertici dell’ENI, che oltre a fare i loro giochi d’interessi e senza scrupoli, si spacciano come i salvatori del mondo con i loro progetti estrattivi “green” quando invece sono fonte visibile di guerre (Libia, Yemen, Niger), inquinamento (Calabria, Pavia, Nigeria), corruzione (Nigeria, Congo, Algeria, Russia). Da un altro punto di vista lo Stato italiano non può fare a meno del peso politico, economico, energetico di ENI. Il vero Ministro degli Esteri non è Di Maio ma i vertici di ENI. In politica estera l’Italia, povera di risorse energetiche, ha vitale bisogno che l’ENI abbia una giusta visibilità e copertura dei “nostri” affari esteri.
L’ultimo punto su cui ci soffermiamo è quello della fitta propaganda, rivolta sopratutto ai giovani. È incessante la spinta alla collaborazione dei cittadini a rifornire all’ENI oltre che ai propri rifiuti organici per le nuove centrali biomasse di Gela e Marghera, anche il loro consenso nelle politiche devastatrici. I costanti annunci di progetti virtuosi come la conservazione delle foreste in Africa, fa si che si crei una bella patina d’ipocrisia e finta filantropia.
La spinta di ENI riguardo all’energia derivante dal gas è uno dei punti di forza della loro pubblicità, visti anche i forti investimenti nei mari dell’Egitto o del Congo. Credere però che il gas non crei problemi è un illusione, oltre al discorso CO2 si dovrebbe andare a vedere situazioni come quelle di Groningen in Olanda. Nel 1963 fu aperto il primo e il più grande giacimento di gas dell’Europa occidentale gestito da Shell ed Exxonmobil. Dopo 50 anni di estrazioni il 12 Agosto 2012 ci furono delle forti scosse di terremoto. Da quel momento le scosse furono una costante nella vita della popolazione locale. Lo Stato olandese ha confermato che le scosse erano legate all’estrazione del gas, e visto il terrore della popolazione ad una imminente catastrofe ha deciso che entro il 2030 i pozzi verranno chiusi. In paesi come Loppersum le case sono circondate da reti ed impalcature per via delle incessanti scosse. Anche il terremoto in Emilia di qualche anno fa fu ricondotto a delle traforazioni per il gas.
Queste aziende che lucrano da decenni come ENI, Shell, Total, e di conseguenza gli Stati che ci stanno dietro con relative alleanze(Venezuela, Arabia Saudita, EAU), stanno cercando di farci credere che investire in un certo tipo di energia potremo salvare il pianeta. Ci sono quelli come Trump e Bolsonaro che fanno la parte dei cattivi irresponsabili, e quelli che fanno la parte dei buoni e virtuosi come l’UE e l’ONU pronti a prendere sotto braccio i giovani e le loro domande e proteste pacifiche facendoli credere di partecipare alle decisioni importanti sul destino del mondo.
Per noi è un grande inganno dar credito a questa benevolenza degli Stati e dei padroni. Parlare di cambiamenti climatici, economia circolare, di una tecnologia salvifica, è pericoloso, perché credere che in quegli ambienti, in questi uomini e donne potenti si trovano persone che faranno qualcosa di reale per fermare il disastro in corso c’è il rischio di rimanere incastrati in discorsi ben più grandi, quelli dei finanziatori, quelli della geopolitica, delle risorse minerarie, del trasporto delle merci. Il cuore dell’economia che fa soldi quanto interi PIL di alcuni Stati, sfruttando miliardi di uomini e donne.
Parlare di ambiente senza parlare di guerra e sfruttamento per noi è impossibile, non solo perché l’industria bellica inquina, ma anche perché senza esercito e senza protezione di strutture come la Nato, la difesa nazionale non esisterebbe e quindi neanche la serenità per far lavorare questo tipo di aziende. Senza i progetti di sfruttamento dei paesi poveri per accaparrarsi le risorse fondamentali alla ristrutturazione tecnologica, gli Stati non possono fare a meno di questi equilibri. Questi aspetti conducono a costanti conflitti che possono scatenare guerre classiche, asimmetriche od economiche, sempre a discapito degli sfruttati, degli ultimi.
Questa transizione energetica di cui tanti auspicano, sperano, studiano e lavorano, dai capi di Stato ai giovani studenti, porta in realtà, e porterà, a nuove guerre. La nuova industria delle auto elettriche è una guerra all’ultimo sangue tra le più grandi case automobilistiche, sia per quanto riguarda i brevetti, sia per i materiali per le ultime generazioni di batterie (Grafene, silicio, cobalto). La guerra ora ci è “distante”, viene qui in Europa raccontata con nuovi aggettivi, nuovi immaginari, con altri toni ed emergenze, e bisogna sforzarsi per avere una visione d’insieme per capire che la guerra a più o meno intensità è una delle basi di questa rincorsa energetica spacciata come salvatrice del pianeta. Essa è una soluzione omeopatica in superficie, ma terribilmente assassina in profondità.
Il fatto che i paesi dei vari G7, G4, stiano costruendo in punti nevralgici delle rotte navali per le merci (Hormuz, Corno d’Africa, Taiwan) nuove caserme ed avamposti con i relativi armamenti e satelliti per controllare che le merci viaggino serene e tranquille a destinazione, è uno dei principali aspetti se oggi vogliamo parlare di guerra.
Ci sono le bombe vere nello Yemen, Siria, Libia, Pakistan, ci sono le navi da guerra dislocate nei 7 mari, ci sono le forme di guerra più “sottili” legate a territori più circoscritti ma fondamentali per l’estrazione di materie prime per le nuove tecnologie. Se si vuole fermare l’inquinamento si deve essere contro la guerra, di conseguenza contro gli interessi dello Stato. I loro interessi non sono i nostri, le loro promesse e la loro propaganda sono nocive in tutti i sensi. Rompere la loro facciata bugiarda e sanguinaria è un passo importante. E L’ENI è in cima alla lista.