La guerra quale costruttrice di città

Tratto da https://finimondo.org/node/2504

La guerra quale costruttrice di città

Lewis Mumford

 

Lo sviluppo intensivo dell’arte delle fortificazioni trasferì l’energia costruttiva dal piano dell’architettura a quello dell’ingegneria, dall’estetica del disegno a calcoli materiali di peso, numero e posizione: preludio alla più ampia tecnica della macchina. In special modo essa trasformò il quadro urbano dal mondo ristretto della città medievale con i suoi itinerari pedonali, le sue vedute chiuse, il suo spazio a mosaico, all’ampio mondo della politica barocca con il suo fuoco di artiglieria a lunga portata, i suoi veicoli a ruote, il suo crescente desiderio di conquistare spazio e di estendere la propria influenza.

Una buona parte del nuovo sistema di vita ebbe origine in un impulso verso la distruzione: distruzione a largo raggio. La fede cristiana e la cupidigia capitalistica si allearono per lanciare i nuovi conquistadores attraverso i mari a saccheggiare l’India, il Messico, il Perù: mentre il nuovo tipo di fortificazione, il nuovo tipo di esercito, il nuovo tipo di officina industriale, di cui troviamo il miglior esempio nei vasti arsenali e nelle fabbriche d’armi, congiurarono per sconvolgere i sistemi su base relativamente cooperativistica della città protetta. La protezione si mutò in sfruttamento spietato: invece di sicurezza gli uomini cercarono espansione avventurosa e conquista. E il proletariato era sottoposto in patria a una forma di governo non meno spietata e autocratica di quella che distrusse le civiltà indigene del Nord e del Sud America.

La guerra affrettò tutte queste trasformazioni; fu essa a determinare il ritmo di tutte le altre istituzioni. I nuovi eserciti permanenti, numerosi, potenti, temibili non meno in pace che in guerra, trasformarono la stessa guerra da un’attività spasmodica in una normale. La necessità di più costosi strumenti di guerra mise le città nelle mani di oligarchie usuraie che finanziavano la funesta politica dei governanti, vivevano lussuosamente dei profitti e del saccheggio, e cercavano di rinforzare le loro posizioni spalleggiando il dispotismo che ne derivava. In una crisi economica i fucili della soldatesca mercenaria potevano essere girati contro i miserabili sudditi ai primi segni di ribellione.

Nel Medioevo il soldato era stato costretto a dividere il potere con l’artigiano, il mercante, il prete: ora nel sistema politico degli Stati assoluti ogni legge era in realtà divenuta una legge marziale. Chiunque potesse finanziare l’esercito e l’arsenale era in grado di diventare il padrone della città. Sparare significò l’arte di governo: era una via spiccia per chiudere una discussione imbarazzante. Invece di accettare gli accomodamenti abituali che assicurarono la salutare espressione delle diversità di temperamento, interesse e fede, le classi dirigenti potevano fare a meno di tali metodi di «do ut des»: il loro linguaggio non conosceva il verbo dare che in seconda persona. Il fucile, il cannone, l’esercito permanente contribuirono a formare una razza di governanti che non riconosceva altra legge se non quella della propria volontà e del proprio capriccio, quella bella razza di tiranni talvolta sciocchi, talvolta intelligenti, che sublimarono i sospetti e le delusioni di uno Stato paranoico in un rituale politico. I loro imitatori totalitari, seguendo Ivan il Terribile e Pietro il Grande, se non Federico e Bismarck, con delusioni non minori, ma con maggiori capacità distruttive, ora minacciano l’esistenza stessa della civiltà mondiale. Ancor adesso i veleni ch’essi iniettarono sono sempre attivi nel corpo semiparalizzato della nostra civiltà, proprio come il machiavellismo politico dei principi assoluti rimase efficiente, corrompendo le relazioni internazionali, attraverso l’Ottocento.

La trasformazione dell’arte della guerra diede ai governanti assoluti un notevole vantaggio sulle corporazioni e sui gruppi che costituiscono una comunità. Essa contribuì più di ogni altra forza singola a modificare la costituzione della città. Il potere divenne sinonimo di numero. «Grandezza di città», osserva Botero, «si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura, ma la moltitudine degli abitanti e la possanza loro». L’esercito assoldato per un servizio militare permanente divenne un nuovo elemento nello Stato, e nella vita della capitale. A Parigi e Berlino, ed in altri centri minori, questi eserciti permanenti crearono il bisogno di speciali tipi di alloggio, poiché i soldati non potevano essere sempre alloggiati dai civili senza suscitare un sentimento di protesta; l’effetto di un tale esperimento si poté osservare nelle colonie inglesi del Nord-America. Le caserme hanno nell’ordinamento barocco press’a poco lo stesso posto che il convento occupava in quello medievale, e le piazze d’armi — per esempio il nuovo Champs-de-Mars a Parigi — erano messe in evidenza nelle nuove città come Marte stesso nella pittura del Rinascimento. Il cambio della guardia, gli esercizi, le parate divennero uno dei grandi spettacoli di massa per la plebe, il cui servilismo continuava a crescere: lo squillo del corno e il rullo del tamburo erano voci caratteristiche di questa nuova fase della vita urbana quanto i rintocchi delle campane nella città medievale. Il tracciato di grandi Viae Triumphales, corsi dove un’armata vittoriosa potesse marciare producendo il massimo effetto sullo spettatore, fu un elemento d’obbligo nei piani di trasformazione delle nuove capitali: specialmente a Parigi e Berlino.

Contemporaneamente alle caserme ed alle piazze d’armi che occupavano aree così vaste nelle grandi capitali, si sviluppano gli arsenali. Nel Cinquecento ne fu costruito un numero eccezionale. Nel 1540 Francesco I aveva già costruito undici arsenali e magazzini; lo stesso sviluppo con un ritmo più o meno rapido continuò in tutte le altre capitali. I soldati, come Sombart ha messo in evidenza, sono dei puri consumatori, ed anzi in combattimento sono dei produttori negativi. Il loro bisogno di alloggiamenti era accompagnato da bisogni di cibi, bevande e abbigliamento in proporzione. Da queste esigenze sorsero le file di osterie e le armate dei sarti attorno alle caserme; praticamente si forma un altro esercito permanente di bottegai, sarti, osti e prostitute; ed i più miserabili di costoro debbono la loro condizione all’effetto della serie ininterrotta di conflitti militari che agitarono l’Europa e raggiunsero il loro apice nel Settecento.

Non bisogna sottovalutare la presenza di una guarnigione quale fattore urbanistico. Nel 1740 la popolazione militare di Berlino contava 21.309 membri su un totale di circa 90.000 abitanti: quasi un quarto. La presenza di questa massa di esseri umani meccanizzati, e costretti all’obbedienza, necessariamente interferì con ogni altro aspetto della vita. L’esercito, colla sua disciplina, servì da modello per altre forme di coercizione politica: la gente prese l’abitudine di tollerare le grida aggressive del sergente istruttore e le arroganti e brutali maniere delle classi superiori: esse furono imitate dai nuovi industriali che dirigevano le loro fabbriche come despoti assoluti. Hutton nella sua storia di Birmingham riferisce come il padrone del castello «nel 1728… si impadronì di un edificio pubblico chiamato mercato delle pelli e lo adibì ai suoi usi personali… L’ufficiale giudiziario convocò gli abitanti per difendere i loro diritti, ma poiché nessuno si fece vivo il signore sorrise della loro indolenza e conservò la proprietà». Sotto i modi superficialmente brillanti della classe superiore barocca, c’è sempre la minaccia di una odiosa disciplina coercitiva. Questi due estremi informano tutti gli aspetti della vita, anche la lussuria e la follia.

 

L’ideologia del potere

Le due braccia di questo nuovo sistema sono l’esercito e la burocrazia: che sono il sostegno temporale e spirituale di un dispotismo centralizzato. Questi due fattori devono una parte non piccola della loro influenza a una forza più vasta e più diffusa, quella dell’industria capitalistica e della finanza. Bisogna ricordare con Max Weber che la razionale amministrazione dei carichi fiscali fu una realizzazione dei comuni italiani attuata dopo la perdita della loro libertà. La nuova oligarchia italiana fu il primo potere politico che mise ordine nelle sue finanze secondo i principi della contabilità commerciale. Immediatamente dopo, in ogni capitale europea si poté apprezzare l’abilità italiana dello specialista di tasse e di amministrazione finanziaria.

Il passaggio da un’economia di beni ad un’economia di moneta aumentò in modo ragguardevole le risorse dello Stato. Il monopolio dei redditi, il bottino frutto di piraterie e brigantaggi, la preda ricavata dalle conquiste, il monopolio di privilegi speciali di produzione e vendita attraverso patenti concesse dallo Stato, l’applicazione di questo ultimo sistema ad invenzioni tecniche, tutte queste risorse impinguavano le casseforti del sovrano. Allargare i confini dello Stato significava aumentare la popolazione soggetta a tassazione, aumentare la popolazione della capitale significava aumentare il reddito del paese. Queste due forme di aumento si traducevano in definitiva in termini di denaro che affluiva all’erario dello Stato. I governi monarchici non solamente divennero capitalistici nelle loro attività, fondando in proprio industrie di armi, porcellane, arazzi; ma, sotto l’etichetta della «favorevole bilancia commerciale», tentarono di creare un sistema di sfruttamento nel quale ogni Stato sovrano avrebbe ottenuto in cambio, in misura di oro, più di quanto avesse dato.

Il capitalismo a sua volta divenne militaristico: esso faceva assegnamento sulle armi dello Stato quando non era più in grado di continuare con vantaggio i suoi traffici senza di esse: basi del posteriore sfruttamento coloniale e dell’imperialismo. Soprattutto, lo sviluppo del capitalismo introdusse in ogni ramo consuetudini laiche di pensiero, e sistemi realistici di valutazione: questo era l’ordine esatto, preciso, superficialmente efficiente sul quale erano intessuti i complicati e splendidi motivi della vita barocca. Le nuove classi mercantili e bancarie accentuarono il metodo, l’ordine, la pratica, il potere, la mobilità, tutte le abitudini che tendevano ad accrescere l’effettivo potere pratico. Jacob Fugger il vecchio possedeva perfino una fornitura da viaggio disegnata e fatta apposta per lui, che conteneva un bel compatto ed assortito servizio da tavola; nulla era lasciato al caso. L’uniformità del punzone che stampava la moneta nella Zecca Nazionale diventò il simbolo di queste qualità emergenti nel nuovo ordine. Attività che più tardi furono sublimate ed estese nelle scienze fisiche si manifestarono per la prima volta nelle aziende commerciali: l’importanza data dai mercanti alle matematiche e alle lettere, ambedue tanto necessarie a un commercio svolto a distanza, attraverso agenti pagati che operavano su istruzioni scritte, divennero gli elementi fondamentali della nuova istruzione impartita nelle scuole di latino. Non fu un caso se il fisico Newton diventò il direttore della Zecca, e se i mercanti di Londra contribuirono a fondare la Società Reale, e promuovevano esperimenti di fisica. Queste discipline meccaniche erano in realtà interscambiabili.

Dietro gli interessi immediati del nuovo capitalismo, col suo amore astratto per il denaro e il potere, sopravvenne un mutamento in tutta la struttura del pensiero. E anzitutto una nuova concezione dello spazio. Fu uno dei grandi trionfi della mentalità barocca organizzare lo spazio, renderlo continuo, ridurlo a misura ed ordine, estendere i limiti della grandezza, riuscendo ad abbracciare gli elementi estremamente distanti e quelli estremamente minuti: infine, associare lo spazio col movimento.

[…]

Se già prima di Cartesio i pittori diedero una dimostrazione delle matematiche cartesiane, col loro sistema di coordinate, il senso generale del tempo divenne pure più matematico. Dal Cinquecento in poi l’orologio domestico era diffuso nelle case delle classi superiori. Ma, mentre lo spazio barocco invitava al movimento, al viaggio, alla conquista mediante la velocità — osservate i primi carri a vela e velocipedi — il tempo barocco manca di dimensioni: esso era un continuo frammentario. Il tempo non si esprimeva quale cumulativo e continuo, ma quale disgiuntivo: esso cessò di essere un tempo basato sulla vita.

La forma sociale del tempo barocco è la moda che cambia ogni anno: e nel mondo della moda fu inventato un nuovo peccato — quello d’essere fuori di moda. Il suo strumento pratico fu il giornale, che si occupa di avvenimenti sparpagliati senza coerenza logica di giorno in giorno; alla base non c’è alcun nesso altro che la contemporaneità. Se nelle forme spaziali la ripetizione prende un nuovo significato — colonne sulle facciate degli edifici, file di uomini nelle parate — nel tempo l’accento posa sulla novità. Quanto al culto archeologico del passato, era chiaro non trattarsi di un ricupero della storia, ma di una negazione di essa. La storia reale non può essere ricuperata.

Le astrazioni monetarie, la prospettiva spaziale e il tempo meccanico formarono la cornice che racchiudeva la nuova vita. L’esperienza fu progressivamente ridotta proprio a quegli elementi che avevano in sé la possibilità di essere divisi dall’insieme e misurati separatamente: computi convenzionali presero il posto di organismo. Reale era quella parte di esperienza che non lasciava residui oscuri; ciò che non poteva essere espresso in termini di sensazioni visive e di ordine meccanico non valeva la pena di essere espresso. In arte, prospettiva ed anatomia; in morale, la sistematica casuistica dei Gesuiti; in architettura, le proporzioni fisse dei Cinque Ordini; in urbanistica, l’elaborata pianta geometrica. Queste erano le nuove forme.

Non fraintendetemi. Il tempo dell’analisi astratta fu un tempo di brillante chiarificazione intellettuale. Il nuovo sistema di studiare gli addendi matematicamente analizzabili, invece dei totali, diede i primi mezzi collettivi intelligibili per avvicinare quei totali; strumento di ordine, altrettanto utile che i registri a partita doppia in commercio. Nelle scienze naturali il metodo dell’astrazione portò alla scoperta di unità che potevano essere esaminate fino in fondo, appunto perché erano dissociate e frammentarie. Il progresso nella forza sistemica del pensiero, e nell’accurata previsione dei fenomeni fisici, trovò la sua giustificazione nell’Ottocento in una serie di grandi progressi tecnici.

Ma sul piano sociale l’uso di pensare in termini astratti ebbe dei risultati disastrosi. Il nuovo ordine determinato nelle scienze fisiche, era di gran lunga troppo limitato per bastare alla descrizione o alla interpretazione di fatti sociali; e fino all’Ottocento il più naturale sviluppo dell’analisi statistica ebbe piccola parte nel pensiero sociologico. Uomini e donne, corporazioni e città, nella loro realtà concreta erano considerati dalle leggi e dai governi quasi fossero creature immaginarie; mentre artificiose finzioni pragmatiche quali il Diritto Divino, il Governo Assoluto, lo Stato, la Sovranità erano considerati realtà concrete. Liberato dal sentimento di dipendenza dalla corporazione e dal vicinato, l’individuo «emancipato» si trovò isolato e sradicato: un atomo di forza in cerca disperata di qualsiasi forza che potesse esercitare il comando. Con la ricerca di potere finanziario e politico, la nozione dei limiti sparì, limiti di numero, limiti di ricchezza, limiti di sviluppo demografico, limiti di espansione urbana: al contrario l’espansione quantitativa divenne predominante. Il mercante non è mai troppo ricco, lo Stato non ha mai troppo territorio, la città non diventa mai troppo grande.

Botero, contemporaneo a questo sviluppo, ne osservò le conseguenze: «Gli antichi fondatori di città», egli disse, «considerando che le leggi e la disciplina civile non si possono facilmente conservare dove sia gran moltitudine di uomini, perché la moltitudine genera confusione, limitarono il numero dei cittadini oltre il quale stimavano non potersi mantenere l’ordine e la forma ch’essi desideravano nelle loro città: tali furono Licurgo, Solone, Aristotele. Ma i Romani, stimando che la potenza, senza la quale una città non si può lungamente mantenere, consiste in gran parte nella moltitudine della gente, fecero ogni cosa per aggrandire e per appopolar la patria loro».

Nel desiderare più sudditi, cioè più carne da cannone, più mucche lattifere da tassare e far rendere, i desideri del Principe coincisero con quelli dei capitalisti che erano alla ricerca di mercati più vasti e più concentrati. Potere politico e potere economico si rafforzarono vicendevolmente. Le città crebbero: i redditi salirono: le tasse aumentarono. Nessuno di questi risultati era accidentale.

 

 

[La cultura delle città, 1938]


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