L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se
ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che
formiamo vivendo insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. II primo riesce
facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non
vederlo più. II secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento
continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è
inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
Italo Calvino, Le città
invisibili
L’inferno della guerra, della devastazione, dei
campi profughi sembra così lontano dalle nostre città, dal nostro tran-tran
quotidiano. Si bombarda anche in nome nostro, eppure la cosa non sembra
turbarci. Ma non si può pensare che uno Stato in guerra (come il governo
italiano, il quale ha le proprie truppe in ventuno Paesi del mondo) non
inauguri prima o poi dei metodi militari contro la popolazione anche
all’interno dei propri confini. Non si può pensare che corsa agli armamenti,
nuovi basi militari, missioni con l’esercito in mezzo mondo non abbiano
ricadute su di noi.
Un esempio davvero emblematico di guerra interna
è la situazione nei campi dei terremotati a L’Aquila, che ricorda da vicino
quella dei profughi iracheni o afghani e che molti aquilani, nelle loro
testimonianze, definiscono un inferno o un lager. La Protezione Civile ha
letteralmente militarizzato la vita sociale per impedire ogni forma di
autorganizzazione dal basso, per mantenere passivi gli individui in vista di
una ricostruzione che appare sempre più lontana e che, soprattutto, deve
compiersi senza di loro. In particolare, ecco alcune delle misure imposte
alla popolazione delle tendopoli:
·
Obbligo
di indossare un braccialetto di identificazione per poter dormire, mangiare e
girare liberamente nei campi. In alcuni campi il braccialetto è sostituito da
tesserino con foto, nome e cognome e codice a barre da passare in un apposito
scanner ogni volta che si entra o esce dal campo.
·
Divieto
di volantinaggio, assemblea, utilizzo di megafono, macchine fotografiche
all’interno e nei pressi dei campi.
·
Divieto
di somministrazione di caffè, cioccolata e vino.
·
Interruzione
della somministrazione dei pasti per chi decide di alloggiare in tende proprie
o roulotte.
·
Centralizzazione
decisionale sull’amministrazione dei campi assegnata alla DICOMAC (direzione di
comando e controllo).
·
Recinzione
di tutti i campi e chiusura notturna.
·
Perquisizioni
e controlli nelle tende anche di notte.
·
Divieto
di avere computer e televisioni nelle tende.
·
Tende
da 8 posti letto per cui è impossibile avere momenti di intimità.
·
Incoraggiamento
di assemblee (addirittura a volte indette direttamente dal capo-campo della Protezione
Civile) per eleggere dei responsabili civili per la sicurezza: uno per ogni
etnia per meglio controllare ogni comunità.
·
Presenza
massiccia di esercito e reparti antisommossa della polizia e dei carabinieri.
·
Presenza
massiccia della Protezione Civile (in alcuni campi arriva ad un rapporto di uno
a quattro con la popolazione)
·
Problemi
di spostamento dai campi per alcuni giorni di fila senza comunicarlo prima.
Come nelle situazioni di guerra, anche in
un terremoto ci sono donne e uomini più invisibili
di altri: come mai non si è detto nulla dei tanti immigrati clandestini che abitavano
nel centro della città? Morti tutti? Deportati? Ciò che emerge dalle lettere e dai
racconti di diversi aquilani è che siamo di fronte ad un vero e proprio
laboratorio di sperimentazione sociale su come abituarci tutti, a partire da
situazioni di “emergenza”, a forme di vita sempre più militarizzate, ad un inferno
con l’aria condizionata. La Provincia di Trento parla di pace e libertà, e
intanto finanzia la costruzione di una base di guerra a Mattarello; il governo
parla di sicurezza, ma nei campi de L’Aquila ci si ammala di dissenteria e di
tubercolosi mentre i servizi sanitari sono allestiti… per il G8. Il capo della
Protezione Civile, Guido Bertolaso, si comporta come un generale nei confronti
di un “popolo a tempo determinato” (parole di un aquilano). Anche questo è un
piccolo pezzo di guerra. Dietro l’angolo.
Solidarietà con gli aquilani che resistono. no alla
militarizzazione dei territori.
anarchici
contro la base di Mattarello (materiale su L’Aquila su: romperelerighe.noblogs.org)
(Volantino distribuito a Rovereto il 9 e a Trento il 10 luglio durante
delle iniziative in piazza con striscione contro la Protezione “Civile”
e mostra di immagini e testimonianze da L’Aquila)