Chi fa affari con Gheddafi

Tutte le informazioni che seguono, fornite in questi giorni da molti quotidiani, sono dati da tempo di pubblico dominio, ai quali, prima dell’insurrezione libica, non veniva prestata attenzione. Le relazioni commerciali con la Libia sono fondamentali per l’economia italiana e nessuno finora le aveva messe in discussione. Ringraziamo i libici in lotta per aver messo in crisi gli sfruttatori italiani presenti sul loro territorio. Consideriamo la loro rivolta come un atto di solidarietà nei nostri confronti. Nei rapporti economici l’Italia è al primo posto per l’export e al quinto per l’import da Tripoli, con stime superiori ai 12 miliardi per l’intero anno 2010. L`importanza che il paese nordafricano riveste per l`Italia è dimostrata dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, ai settori della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni. Il 7,2% di UniCredit è controllato, attraverso le partecipazioni, dalla Libyan Investments Autorithy, dalla Banca Centrale Libica e dalla Libyan Arab Foreign Bank. La finanziaria Lafico (Libyan arab foreign investment), braccio finanziario del colonnello Gheddafi, possiede il 14,8% della Retelit (società controllata dalla Telecom Italia attiva nel WiMax), il 7,5% della Juventus (partecipata dal 1976), il 33% per cento della Triestina e il 31% per cento della società Olcese nel settore manifatturiero. Telecom è presente anche con Prysmian Cables (ex Pirelli Cavi). Nel settore delle costruzioni si distinguono Impregilo, Bonatti, Garboli-Conicos, Maltauro, Ferretti Group. Impregilo ha vinto una commessa per la costruzione di una torre di 180 metri e un albergo di 600 camere a Tripoli. E ha già realizzato diverse importanti opere pubbliche in Libia: gli aeroporti di Kufra, Benina e Misuratah, e il Parlamento a Sirte. La stessa società ha vinto l’appalto per la realizzazione di tre università ed è in gara per la costruzione di un’autostrada fino all’Egitto. Gheddafi, riconoscente, ha deciso di entrare nel capitale di Impregilo. Il colosso francese Alcatel – la torta va divisa – sta gestendo la modernizzazione dell’intera rete telefonica: un affare da 161 milioni di dollari, che prevede la posa di oltre 7 mila km di cavi in fibra ottica. Fa parte della partita anche la società italiana Sirti, che ha una commessa di 68 milioni di dollari. Altri settori sono quelli delle centrali termiche, (Enel power), e dell’impiantistica (Tecnimont, Techint, Snam Progetti, Edison, Ava, Cosmi, Chimec, Technip). L’elenco delle imprese che fanno affari in Libia comprende tra l’altro Alitalia, Grimaldi, Visa e Saipem. Eni, in Libia nel settore petrolifero dal 1959, è il primo produttore straniero nel paese. L’esportazione del gas verso l’Italia è iniziata nell’ottobre del 2004. Il gas arriva attraverso il gasdotto denominato GreenStream, lungo circa 520 chilometri, che collega Mellitah, sulla costa libica, con Gela, in Sicilia. Nel giugno 2008 Eni e la società petrolifera di Stato Noc hanno siglato un accordo che ha esteso di 25 anni la durata dei titoli minerari della società italiana fino al 2042 per le produzioni a olio e al 2047 per quelle a gas, e ha avviato il potenziamento del gasdotto per consentire un aumento della capacità di trasporto da 8 a 11 miliardi di metri cubi/anno entro il 2012. A fine 2009 Eni era presente in 13 titoli minerari. Nel 2008 inoltre il governo libico hanno formalizzato un’intesa con il ministero dell’Economia italiano che dovrebbe permettere a Tripoli di aumentare le partecipazioni in Eni (di cui già possiedono lo 0,7% del capitale) inizialmente al 5%, poi all’8%, fino a un massimo del 10%. L’Eni ha firmato inoltre un programma da 150 milioni di dollari con la Noc e la Gheddafi Development Foundation per il restauro di siti archeologici, interventi in campo ambientale, e la formazione di ingegneri libici, che saranno assunti dalla major del cane a sei zampe. La Libia è un ottimo mercato per le armi per i pescecani dell’industria della morte. Le esportazioni italiane in Libia per il 2009 sono state pari a circa 111,8 milioni di euro, in aumento rispetto ai 93 milioni circa del 2008. E’ il nono cliente dell’industria bellica italiana e il quarto acquirente di armi dell’Africa settentrionale (dietro ad Algeria, Marocco e Senegal). FINMECCANICA: Risale allo scorso 17 gennaio il superamento della soglia del 2%: la quota è intestata alla Lybian investment authority. Finmeccanica, la holding pubblica italiana che “vanta” tra le sue società alcuni dei principali produttori di armamenti al mondo, è stata una delle prime aziende a sfruttare la fine dell’embargo e dell’isolamento di Tripoli. Il primo colpo l’ha messo a segno già nel 2006 firmando la vendita per un ammontare di 80 milioni di euro di dieci elicotteri, prodotti a partire dagli anni Novanta dall’AgustaWestland, società del Gruppo. Parallelamente a questo contratto, sempre nel 2006, Finmeccanica e AgustaWestland hanno siglato con Tripoli un accordo per la creazione di una joint-venture denominata Libyan Italian Advanced Tecnology Company, posseduta al 50% dalla Libyan Company for Aviation Industry, al 25% da Finmeccanica e al 25% da AgustaWestland che offre servizi di manutenzione e addestramento degli equipaggi dei velivoli in dotazione. Questa intesa non è stata l’unica. Nel 2008 Alenia Aeronautica, un’altra società del Gruppo, ha venduto al ministero dell’Interno libico un velivolo da pattugliamento marittimo. Il contratto include anche l’addestramento dei piloti e degli operatori di sistema, supporto logistico e parti di ricambio. Il governo italiano ha anche autorizzato un contratto siglato dall’Alenia Aermacchi del valore di oltre 3 milioni di euro per ricambi e assistenza tecnica di altri velivoli militari. Questi aerei, che in Europa vengono utilizzati come addestratori, ma che in Africa e America latina sono impiegati come bombardieri, sono stati venduti all’Aeronautica libica negli anni Settanta. Ne erano stati acquistati 240, oggi non si sa quanti siano in servizio. Nel 2006 un certo numero è stato ceduto alle forze armate ciadiane che li hanno utilizzati per bombardare i ribelli sulle frontiere con il Sudan. Sempre nel settore della manutenzione nel 2007 il governo libico ha richiesto alla Oto Melara (Finmeccanica) parti di ricambio del valore di oltre 2,6 milioni di euro un cannone con una gittata tra i 24 e i 30 km che la Libia ha ordinato a partire dal 1982. Nel maggio 2009 la società Mbda (Finmeccanica) ha firmato un accordo da 2,5 milioni di euro per la fornitura di materiale per bombe, siluri, razzi e missili. Agusta sta negoziando un contratto da 80 milioni di euro per apparecchiature elettroniche e materiale per l’addestramento militare o per la simulazione di scenari militari. Finmeccanica e Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti nel luglio 2009 con un nuovo accordo per creare una joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestire gli investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. Accordo strategico di ampia portata che coinvolge tutti i settori: elicotteri, energia, elettronica, sicurezza e aerospazio. Il primo frutto è stato un nuovo accordo siglato da Selex sistemi integrati, società controllata da Finmeccanica e dal governo libico. Il contratto, del valore di 300 milioni di euro, prevede la creazione di un sistema di «protezione e sicurezza» dei confini. Si tratta di una sorta di barriera elettronica di sensori che trasmettono dati a centri di comando che li elaborano e li mettono a disposizione del personale delle forze dell’ordine o delle forze armate. Un sistema che serve per contenere i flussi degli immigrati, ma anche il controllo tout court dei confini meridionali con Ciad, Sudan e Niger. Tra Italia e Libia lo scambio di armi e di sistemi d’arma non è però limitato alla sola Finmeccanica. Figura anche la Itas srl, una società di La Spezia che cura il controllo tecnico, l’ispezione e la manutenzione dei missili antinave Otomat, acquistati a partire degli anni Settanta dal governo di Tripoli. A gennaio la Intermarine spa ha avviato un negoziato da 500 milioni di euro per la fornitura di materiale e software per le navi da guerra. Anche Iveco (società del Gruppo Fiat che si occupa della costruzione di veicoli pesanti) potrebbe sfruttare. Iveco è in Libia dal 1976, anno della nascita della società torinese. Non è presente in Libia con una propria sede commerciale. Opera attraverso una joint-venture, basata su un contratto di collaborazione industriale di assemblaggio dei veicoli e relativa commercializzazione e assistenza. Oltre alle linee di assemblaggio, nel territorio si estende anche una rete di assistenza di officine autorizzate. Questo rapporto potrebbe però avere risvolti anche nel settore militare. Da tempo la Libia ha manifestato interesse all’acquisto dei Lince, i veicoli utilizzati dall’Esercito italiano nella missione in Afghanistan. Per il momento non è ancora stato formalizzato nulla. Nell’ottica del rafforzamento dei controlli dei flussi di immigrati, il governo italiano ha ceduto sei motovedette della Guardia di finanza alla Guardia costiera libica. Si tratta di guardacoste della classe Bigliani, mezzi destinati al contrasto e alla repressione dei traffici illeciti nelle acque territoriali e internazionali. Non è la prima volta che l’Italia dona alla Libia armi dell’esercito. All’inizio degli anni Ottanta sono stati ceduti un certo numero di carri armati Leopard a Tripoli nonostante le diverse posizioni nei blocchi d’influenza. Anche la Marina militare da anni collabora con quella libica. Dal 2001 al 2006 sono state effettuate manovre congiunte (denominate Nauras) con quella di Tripoli. Si trattava di esercitazioni che prevedevano la navigazione di navi italiane e libiche, scambio di messaggi e prove di boarding (ispezioni sui mercantili). Lo scorso anno, poi, la Libia è entrata a far parte di V-RMTC 5+5 Net, un sistema organizzato che prevede la collaborazione delle Marine militari di una decina di Paesi che si affacciano sul Mediterraneo per il controllo del traffico mercantile.


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