Presentazione dell’opuscolo “L’università in guerra”
Il rapporto tra mondo universitario e apparato militare non è un fatto nuovo. , la trasformazione delle guerre in azioni di “polizia internazionale” permanenti porta a ridefinire e rinsaldare questo rapporto. Se la guerra diventa parte integrante della società democratica, l’Università assume il duplice ruolo di legittimare la presenza e la funzione dell’esercito e di fornire quel complesso di conoscenze e mezzi necessari a un sistema sempre più complesso di produzione degli armamenti.
L’Università in guerra è il risultato di una ricerca condotta a partire dall’autunno 2010 da parte di un gruppo di studenti e antimilitaristi di Trento. Il 28 Ottobre, alla Facoltà di Sociologia, mentre si stava svolgendo una conferenza sul tema della sicurezza e sul ruolo dell’Italia nelle “missioni di pace”, alla quale erano invitati due ufficiali dell’esercito e un docente di giurisprudenza, alcuni antimilitaristi irrompevano lanciando contro di loro fumogeni e vernice rossa. Un nostro amico, Luca, veniva arrestato e poi condannato a 6 mesi di reclusione. In seguito a questa azione, e alla conseguente stigmatizzazione mediatica, si apprendeva che uno dei due militari era il capitano Pierpaolo Sinconi, capo ufficio affari internazionali del Coespu di Vicenza, una struttura in cui i vertici dei carabinieri addestrano eserciti di altri paesi alla contro-guerriglia e alla contro-insurrezione.
In un processo di ribaltamento della realtà militari di professione, responsabili dell’addestramento alla repressione, alla tortura e all’uso del terrore, vengono invitati in Università a parlare di pacee violenti e fascisti diventano coloro che li contestano.
L’idea di studiare le relazioni esistenti tra mondo accademico e industria bellica (esercito e aziende produttrici di armi o di loro componenti) nasce come volontà di richiamare quel gesto e, insieme, di contribuire in senso qualitativo alle mobilitazioni studentesche che in quel periodo, seppur con una radicalità inferiore rispetto ad altri contesti, attraversavano anche l’ateneo trentino.
Nella prima parte dell’opuscolo vengono documentati ed esaminati gli studi, i corsi e le attività accademiche orientati alla produzione di analisi politiche, giuridiche e sociologiche funzionali alla giustificazione degli interventi militari. Viene documentata la proliferazione di corsi in cui sono presenti militari accanto a civili ed esplicitata la funzione normalizzatrice del concetto di peacekeeping. Nel nuovo contesto di “guerra permanente” la presenza militare deve necessariamenteinserirsi nella società e non porsi come “entità separata” che solo eccezionalmente interagisce con la cosiddetta “società civile”. La connessione con il mondo universitario, come con altre istituzioni formative, ha la funzione di legittimare questo nuovo ruolo sociale della militarizzazione, facendo assumere ad un sistema di valori autoritario, repressivo e violento la valenza di un sapere “civile”.
In questo senso particolare significato assume il riferimento a “Clever Ferret”, esercitazione militare multinazionale che vede coinvolti al fianco della Multinational land force (Mlf) – in pratica l’embrione dell’esercito europeo – anche studenti di Scienze internazionali e diplomatiche dell’Università di Trieste (Polo didattico di Gorizia). In perfetta linea con il modello israeliano, che prevede l’inserimento di esperti esterni a supporto delle forze armate durante lo svolgimento delle operazioni militari, dal 2010 questi studenti universitari italiani sono coinvolti in attività operative con compiti di consulenza per quanto riguarda l’analisi di aspetti politici e legali, con particolare riferimento ai rapporti con le Organizzazioni internazionali.
La seconda parte dell’opuscolo, invece, è dedicata alle collaborazioni di natura scientifico-tecnologica, con particolare riferimento al contesto trentino, orientato a configurarsi come “regione laboratorio” per lo studio delle cosiddette tecnologie convergenti. In quest’ambito un rapporto primario è quello dato dalle partnership e collaborazioni tra centri e laboratori di ricerca della Facoltà di Ingegneria di Trento e aziende controllate da Finmeccanica, maggior produttore italiano di armi.
L’inserimento di un sistema ideologico finalizzato alla produzione di sofferenza e morte nel contesto di istituzioni educative non può che accelerare un processo di sempre maggior restrizione di spazi di pensiero critico. Anche in Università, che si configura sempre più come luogo di pianificazione della violenza degli eserciti e degli Stati, è necessario costituire frange non integrate che ne turbino la quiete. La critica deve integrarsi con un’attività pratica. Le forme che può assumere questa contestazione possono essere più o meno organizzate, con obiettivi più o meno immediati e “spettacolari”, ma tutte devono essere accomunate dal collegamento con le altre forme di lotta nel rifiuto di uno specialismo che priva ogni forma di critica della sua dimensione conflittuale e, quindi, reale.
Trento, 11 Settembre 2011
(l’opuscolo L’Università in guerra. Connessioni tra mondo accademico, militare ed industria bellica. Il caso trentino è a breve disponibile su: romperelerighe.noblogs.org)