Tutte le informazioni che seguono, fornite in questi giorni da molti quotidiani, sono dati da tempo di pubblico dominio, ai quali, prima dell’insurrezione libica, non veniva prestata attenzione. Le relazioni commerciali con la Libia sono fondamentali per l’economia italiana e nessuno finora le aveva messe in discussione. Ringraziamo i libici in lotta per aver messo in crisi gli sfruttatori italiani presenti sul loro territorio. Consideriamo la loro rivolta come un atto di solidarietà nei nostri confronti. Nei rapporti economici l’Italia è al primo posto per l’export e al quinto per l’import da Tripoli, con stime superiori ai 12 miliardi per l’intero anno 2010. L`importanza che il paese nordafricano riveste per l`Italia è dimostrata dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese, prevalentemente collegate al settore petrolifero e alle infrastrutture, ai settori della meccanica, dei prodotti e della tecnologia per le costruzioni. Il 7,2% di UniCredit è controllato, attraverso le partecipazioni, dalla Libyan Investments Autorithy, dalla Banca Centrale Libica e dalla Libyan Arab Foreign Bank. La finanziaria Lafico (Libyan arab foreign investment), braccio finanziario del colonnello Gheddafi, possiede il 14,8% della Retelit (società controllata dalla Telecom Italia attiva nel WiMax), il 7,5% della Juventus (partecipata dal 1976), il 33% per cento della Triestina e il 31% per cento della società Olcese nel settore manifatturiero. Continue reading
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Il 2020 si avvicina
Alcuni lettori si ricorderanno del Rapporto “Operazioni Urbane nell’anno 2020” elaborato dalla NATO nel 2003. Sulla base della pesante batosta subita a Mogadiscio, gli strateghi dell’Alleanza Atlantica avevano dovuto ripensare logica e modalità degli interventi militari.
Ciò da cui sono partiti, è l’analisi di una condizione tanto presente nelle vite di milioni di sfruttati quanto assente dalle categorie con cui il carrozzone della sinistra e della sua sinistra interpreta il mondo. Continue reading
Egitto: tra esercito e libertà
Difficile farsi un’idea precisa di quanto sta accadendo in Egitto. Certo non si può parlare, come è stato fatto, di rivoluzione, se per rivoluzione s’intende una profonda trasformazione dei rapporti sociali, ma nemmeno se ci si ferma alla sua accezione politica e “borghese”, cioè alla modifica radicale degli assetti istituzionali e delle forme del potere. Il “governo di transizione” è costituito dal personale di Mubarak, benché quest’ultimo sia stato costretto ad andarsene. Aggiungiamo poi che la “transizione verso la democrazia” è garantita dall’esercito, il quale ha sospeso la costituzione in vista di nuove elezioni, promettendo di abrogare solo alcune delle norme costituzionali più odiate. L’elogio espresso da Barak Obama – un elogio obtorto collo, visto il costante appoggio politico e militare fornito negli anni dagli Stati Uniti al regime di Mubarak – significa che la nuova eletta dominante non spiace al capitale internazionale. Continue reading
La cattiva coscienza dei politici e le mani grondanti di sangue dei padroni italiani
Le centinaia di morti, operai, lavoratori, disoccupati, studenti, casalinghe, nei paesi arabi e in Libia sono il frutto (anche) dei “buoni” rapporti dei governi italiani con i dittatori del mondo arabo che, insieme, hanno fatto affari d’oro.I soldi provenienti dal petrolio hanno finanziato le spese militari dei paesi amici, Algeria, Egitto, Tunisia, Marocco, Israele e – in particolare – Libia. Gheddafi, dopo essere stato considerato nel 1970 un terrorista, capo di uno “stato canaglia” per aver espulso dal paese le aziende e le compagnie petrolifere americane, ha fatto affari con le industrie italiane: ENI, SNAM, Fiat, Finmeccanica, ecc.Si calcola che circa il 35/40% del petrolio libico arrivi direttamente in Italia e più del 40% sono le importazioni libiche dall’Italia. Continue reading
Libia, se a sparare sono armi italiane
Mentre continuano a pervenire dalla Libia drammatiche notizie sulla violenta repressione ad opera del regime, appare utile ricordare che Tripoli è un partner commerciale importante per l’Italia anche nel settore militare. Infatti in questo paese è diretto circa il 2% delle esportazioni totali dell’Italia, ponendosi come il nono paese importatore delle armi italiane. Tra l’altro, dopo un leggero calo tra il 2005 e il 2007, nel 2008 il valore delle spese militari libiche ha ricominciato a crescere, raggiungendo la cifra di 1,1 miliardi di dollari nel 2008, aprendo quindi prospettive interessanti alle esportazioni di armi. In base ai Rapporti del Presidente del Consiglio dei Ministri sui lineamenti di politica del Governo in materia di esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, il valore delle esportazioni di armi italiane alla Libia è in costante crescita a partire dal 2006, anno in cui riprendono i flussi commerciali tra i due Stati. Continue reading
Ad Alenia la formazione dei piloti militari afgani
di Antonio Mazzeo
Il Comando generale dell’US Air Force affiderà ad Alenia North America, società controllata da Alenia Aeronautica (gruppo Finmeccanica), la formazione dei piloti e del personale addetto alla manutenzione dei velivoli da trasporto tattico C-27/G.222 che gli Stati Uniti stanno consegnando all’aeronautica militare afgana. Il contratto del valore di oltre 4 milioni di dollari prevede un anno di lezioni teoriche in aula, la formazione pratica e l’addestramento in volo dei piloti afgani e degli advisor statunitensi che saranno poi inviati a Kabul per operare con il personale dell’Afganistan National Army Air Corps (ANAAC). I corsi si terranno presso lo stabilimento Alenia di Capodichino (Napoli). Continue reading
Dietro l’angolo
Pubblichiamo un testo che documenta le responsabilità del governo italiano e dei capitalisti di casa nostra nel mantenimento e nella collaborazione con il sistema di potere tunisino, di cui Ben Ali era un nodo centrale. Ora che migliaia di tunisini arrivano sulle coste italiane, che fa il governo? Cerca di impedirne la partenza mandando uomini in Tunisia a collaborare con militari e polizia (40 persone sono morte perché il barcone su cui viaggiavano è stato speronato da una motovedetta militare tunisina), e riapre il lager di Lampedusa.
Ora che il ruolo di gendarme dei poveri affidato ai vari regimi nordafricani sta franando sotto il peso delle rivolte sociali, le democrazie occidentali (Italia in testa) cominciano ad impensierirsi. Intanto il vento insurrezionale arriva nello Yemen, nel Bahrein, a Tehran, e si preparano le giornate della collera anche in Libia. Il colonnello Gheddafi (principale azionista, dopo lo Stato italiano, di Finmeccanica) minaccia il pugno di ferro. Esattamente come cominciano a fare i militari egiziani – che dovrebbero garantire la “transizione alla pace”… –, contro i lavoratori in sciopero.
Intanto diversi tunisini arrivati in Sicilia, da Lampedusa sono stati deportati nei CIE di Gradisca, Modena e Torino, dove hanno già cominciato delle proteste. “La libertà”, “la lotta contro la tirannia”, “l’uguaglianza” vanno bene per le parate istituzionali, i corsivi dei giornali o i discorsi in TV. Ma quando i poveri le mettono in pratica? Se riescono a fuggire il piombo della dittatura, trovano i lager della democrazia.
Davanti alla rivolta che nelle ultime settimane sta divampando in Tunisia, senza dubbio in molti ci saremo chiesti cosa fare, come contribuire a far sì che le esplosioni di rabbia nelle strade di Tunisi, Gabes, Gerba, La Marsa possano stimolare e al contempo essere sostenute da quanto accade nelle nostre città.
“L’Italia sostiene i governi in Tunisia e in Algeria, che hanno avuto coraggio e costituiscono un’importante presenza mediterranea, soprattutto nella lotta al terrorismo”. Traducendo queste parole pronunciate dal ministro degli esteri Frattini è chiaro che il colonialismo italiano ha fortissimi interessi in questi paesi e che lo Stato e le aziende del nostro paese hanno enormi responsabilità nel costruire un presente di miseria per milioni di uomini e donne tunisini.
Subito il pensiero corre ad una ricerca sistematica dei collegamenti italo-tunisini. Continue reading
Un treno di scorie nucleari e una prima resistenza
Da una settimana girava voce di un passaggio, fra il 6 e l’8 febbraio, di un treno Castor in Piemonte, in direzione della Francia. Nella giornata di domenica sono arrivate informazioni più precise che individuavano il passaggio del treno nella notte.
Si è cercato di divulgare la notizia più rapidamente e diffusamente possibile ed è stato convocato un presidio a partire dalla mezzanotte alla stazione di Chiusa Condove (Valsusa).
Erano presenti al presidio circa quaranta persone di cui la maggior parte anarchici e qualche valligiano. Nel giro di poco tempo il presidio è stato circondato da un gran numero di sbirri, circa 200. Continue reading
Come vento sulle braci
L’insurrezione che ha infiammato e continua a infiammare la Tunisia si estende nelle terre e negli animi degli sfruttati del Mediterraneo. L’imponente rivolta egiziana sta mettendo in ginocchio, nonostante gli oltre cento morti provocati dalla polizia, il governo di Mubarak, sostenuto anch’esso per anni dalle potenze occidentali. “La Tunisia è la soluzione” era scritto su uno degli striscioni durante le prime manifestazioni al Cairo. La rivolta è indubbiamente contagiosa, mostrando ai poveri di tutto il mondo che il dominio è un gigante con i piedi di argilla. Dove condurranno questi moti di rabbia e di solidarietà (di attacco in attacco, di saccheggio in condivisione del pane e di tutto il resto) non possiamo saperlo. Troppo lontano è il nostro sguardo. Troppo comodo è fare ipotesi e fornire insegnamenti seduti sulle nostre poltrone. Fino a quando qualcosa di simile non ci scaraventerà giù dalla nostra comodità, il dialogo a distanza sarà solo un balbettio.
Quello che sappiamo è che nessun governo di opposizione darà agli insorti la libertà e la giustizia che agognano, e che solo delle forme autonome di organizzazione (fuori dai partiti, dai sindacati e dai racket religiosi) possono traformare gli attuali rapporti sociali, fonte di ogni corruzione. L’unico modo per distruggere fino in fondo un sistema di potere è quello di rovesciarlo con la forza e allo stesso tempo di renderlo inutile. Come si stiano organizzando i nostri compagni d’Egitto non è a noi noto. Molto dipenderà da come reagiranno gli sfruttati del cosiddetto primo mondo, dove risiedono i centri economici e politici del giogo che stritola ovunque i dannati della Terra.
Lo striscione in italiano e in arabo “La Tunisia è la soluzione” presente durante lo sciopero del 28 gennaio a Trento ha fatto subito avvicinate alcuni immigrati con cui abbiamo urlato “Tunis Hora Hora, Ben Ali a la Barra!” (“Tunisia, adesso, adesso, via Ben Ali!”). I cuori di migliaia di immigrati sono ad Algeri, a Tunisi, al Cairo, a Tirana…
Il giorno stesso, i militari hanno isolato – per la prima volta al mondo – una parte del Cairo rendendo impossibile ogni comunicazione, compresi gli sms. Anche questo è un punto sottolineato a chiare lettere dagli strateghi della Nato. A riprova di come tutto ciò non sia lontano da noi, possiamo far notare che gli studi su come si isola una rivolta dal resto della popolazione si svolgono anche nell’uniiversità di Povo (sopra Trento), nei laboratori di Eledia Group (cfr. il dossier Una piovra artificiale. Finmeccanica a Rovereto).
Siamo più coinvolti di quanto pensiamo.