Da: Anarhija
30 luglio 2019
“Noi attacchiamo solo per noi stessi, per fare e rifare un’esperienza intima del rifiuto di questo mondo. Il senso e la consistenza delle nostre vite emergono solo in questi pochi secondi”[1]
Il principale motivo che ci spinge a metterci in gioco, in prima persona, senza farci mettere le spalle al muro dalla paura delle possibili conseguenze repressive, è la consapevolezza che non siamo liberi. Anche se fuori dalle mura di uno schifosissimo carcere, viviamo in un mondo realisticamente paragonabile ad una galera a cielo aperto. Le catene che indossiamo sono in parte accettate come normali necessità, dai più sono percepite alla pari, se non ancora più indispensabili, dei bisogni fisiologici, vedi l’utilizzo di computer, smartphone, mezzi di trasporto… Queste catene ci vengono imposte dall’alto di quello che si rivela sempre più somigliante al “grande fratello” di Orwell. Chi governa sa benissimo di aver svolto un notevole lavoro in termini di distrazioni di massa, bisogni indotti e confusione architettata ad arte per far sì che anche gli oppressi puntino ad essere oppressori, individuando il nemico in chi si trova nel gradino più in basso. Continue reading